ANTONINO ZICHICHI, TRA SCIENZA E FEDE (Parte 1)

Perché bisogna credere in Colui che ha fatto il mondo – Le nuove frontiere della fisica moderna

L’occasione di questo scritto mi è stata offerta dalla circostanza del 95esimo compleanno, avvenuto il 15 ottobre scorso, di Antonino Zichichi, il celebre fisico il cui nome è legato ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, ma decisivo è stato l’invito rivoltomi dall’amico e scrittore romano di origine assergese Fernando Acitelli a scrivere su questo grande personaggio e sul rapporto tra scienza e fede che la sua figura richiama. Quello che segue, più che un articolo, è un saggio breve, come spesso mi capita di fare quando l’argomento è particolarmente significativo o complesso. Sento il bisogno di precisare che taluni argomenti scientifici o fenomeni naturali evocati, per renderli più chiari ai lettori, oltre che a me stesso, li ho illustrati con parole mie; mentre, in ordine al decisivo rapporto tra scienza e fede, che è la nota dominante dello scritto, nel riferire fedelmente il pensiero del grande scienziato siciliano (nella cui visione del mondo, peraltro, mi riconosco pienamente), quando ho ritenuto necessario, l’ho integrato con personali considerazioni e avvalendomi non solo degli scritti di Zichichi.Mi corre altresì l’obbligo di dichiarare che, pur non essendo un fisico teorico, la mia dimestichezza con lo studio della filosofia teoretica non fa sentire estraneo al mio interesse questo terreno della conoscenza umana: tra la rigorosa scienza dell’universo e la genuina indagine filosofica c’è una differenza di linguaggio e di terminologia ma, per molti aspetti, una sostanziale contiguità di contenuti. Gli argomenti per così dire “tecnici” toccati nello scritto che segue richiederebbero la lettura di interi volumi, così come molto si potrebbe scrivere sul tema del rapporto tra scienza e fede. Non posso fare a meno, a questo riguardo, di raccomandare i libri di Antonino Zichichi (rinvenibili anche nel web) e, primo fra tutti, quello al quale più mi sono ispirato, intitolato “Perché credo in Colui che ha fatto il Mondo”, saggio rispetto al quale questo mio scritto potrebbe ambire ad essere, tuttalpiù, una modesta introduzione. (G.L.).

L’ultimo atto della ragione è credere che c’è un’infinità di cose che la trascendono. Blaise Pascal

 Chi non crede in Dio crede in tutto il resto. K. Chesterton

 

Antonino Zichichi è un bel signore siciliano che ha compiuto da poco 95 anni. Scienziato di fama internazionale che tutto il mondo ci invidia, felicemente sposato per sessantasei anni con Maria Ludovica (venuta da poco a mancare), biologa, conosciuta a Ginevra, dove lavorava in un importante centro di ricerca, due figli e cinque nipoti, una vita professionale divisa tra la Svizzera e l’Italia, in una recente intervista, alludendo al suo invidiabile traguardo anagrafico, ha confessato, da eterno giovane, di avere ancora molti sogni nel cassetto e, rifacendosi al titolo di un suo fortunatissimo libro, ha detto di essere innamorato di Colui che ha creato il mondo, aggiungendo che la fisica non è altro che la logica del mondo, e che scienza e fede non sono conquiste dell’intelligenza umana ma doni di Dio. Ha detto proprio così, “doni di Dio”, parole che suonerebbero strane in un uomo di scienza se non si conoscesse chi è che le pronuncia. Non è facile tratteggiare in poche righe la biografia scientifica e professionale di questo originale scienziato, tanto è ricca e significativa.

Nato a Trapani il 15 ottobre 1929, Antonino Zichichi, che porta già nel nome la sua vocazione (‘Zichichi’, infatti, è nome di origine greca che vuol dire “frontiere” – le nuove frontiere della scienza sono legate alla sua attività di instancabile ricercatore), dopo la maturità classica, conseguita nella sua città natale, si è laureato in Fisica nel 1952 presso l’Università di Palermo. Ha lavorato poi presso il Fermilab di Chicago e il CERN di Ginevra, è stato ordinario di Fisica Superiore dal 1965 al 2006 alla Facoltà di Scienze dell’Università di Bologna, presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare dal 1977 al 1982 e della Società Europea di Fisica nel 1978. Fondatore nel 1963 ad Erice, nella sua Sicilia, del Centro di cultura scientifica intitolato a Ettore Majorana (1906 – ? ), si è fatto promotore e ideatore, nel 1980, dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso, alla cui attività scientifica si accennerà di seguito. È stato presidente della Federazione Mondiale degli Scienziati. È autore di più di mille lavori scientifici, tra cui sei scoperte, quattro invenzioni, tre idee che hanno aperto strade nuove nello studio della fisica subnucleare e delle alte energie. La sua carriera scientifica è stata costellata di onorificenze e riconoscimenti. Zichichi è inoltre un eccezionale divulgatore scientifico. La sua capacità di coniugare rigore scientifico con chiarezza espositiva ha del prodigioso. Nei suoi libri – primo fra tutti Perché credo in Colui che ha fatto il mondo, destinato a fungere da filo conduttore delle considerazioni che seguiranno – il tema dominante è il rapporto, che da cattolico convinto sente nelle fibre più profonde dell’anima, tra scienza e fede, anzi, come egli sapientemente suggerisce invertendo l’ordine delle parole, tra fede e scienza.

Ascoltare una sua conferenza è un autentico godimento dello spirito: un linguaggio cristallino, come non sempre riesce agli uomini di scienza, a tratti immaginifico, ma sempre controllato. Grande comunicatore, con il suo bel viso incorniciato da una chioma candida e leggermente scompigliata, quando parla di scienza in relazione alla fede il suo eloquio è semplicemente incantevole: si ha l’impressione di abbeverarsi ad una fonte di acqua viva. Quello tra Scienza e Fede (in seguito, per indicare i due termini, o per evidenziare concetti scientifici fondamentali, nonché i nomi di persona, si userà preferibilmente la lettera iniziale maiuscola e/o il carattere in corsivo o in grassetto) è stato nella modernità un confronto spesso lacerante che l’opinione corrente ha spesso recepito come una sostanziale incompatibilità. Quante volte nei discorsi al bar o nella strada si è sentito dire nel secolo scorso che gli scienziati, parola che incute ancora oggi un religioso rispetto presso i non addetti ai lavori, quasi si trattasse di una setta di iniziati, non credono alla religione, che è roba da vecchierelle, non avendo costoro mai letto di Blaise Pascal (1624–1643), singolare figura di filosofo e scienziato, che passeggiando tra i vicoli della Parigi del XVII si inchinava dinanzi ad ogni immagine della Madonna che incontrava nel suo cammino. In tempi più vicini ai nostri, profondamente religiosi sono stati Michael Faraday (1791–1867) e J. Clerk Maxwell (1831–1879), fisici geniali a cui si devono, tra l’altro, grandi scoperte nel campo dell’elettromagnetismo, così come cattolico convinto era quel Galileo Galilei (1564–1642) alle cui intuizioni si farà di seguito più di un cenno. Per circa cinque secoli, presso gli strati colti delle società dell’Occidente, ha dominato più o meno larvatamente l’opinione che la scienza poteva fare a meno dell’idea che fosse stato Dio a creare il mondo. L’idea che la fede religiosa e la ragione (speculativa, nel caso della filosofia, e sperimentale, nel caso della scienza) siano su piani differenti e incompatibili è di derivazione illuministica. È il frutto acerbo dello scientismo positivista, vale a dire dell’idea profondamente erronea, in auge nella seconda metà dell’Ottocento, dell’autosufficienza delle scienze della natura sul terreno della conoscenza, al tempo in cui si pensava che lo studio della natura avrebbe risolto tutti i problemi degli uomini e che il cammino delle scoperte fondamentali stava per giungere al suo epilogo: un’espressione di arroganza intellettuale che affidava all’intelligenza umana la capacità di capire come è fatto il mondo senza ricorrere ad alcuna istanza superiore.

L’idea di fondo, il filo rosso che unisce le argomentazioni di Zichichi in materia di scienza e fede è che la Scienza non può essere contro la Fede, per il semplice motivo che, contrariamente a quanto vorrebbe far credere il pensiero dominante, essa non nasce da un atto della ragione, ma da un atto di fede di quel Galileo Galilei che, presentato da una vulgata laicista come ateo e vittima dell’oscurantismo religioso (“e invece è nato a casa nostra” rivendica con orgoglio il cattolico Zichichi), è colui che, inaugurando la scienza moderna, studiava le pietre, cioè il materiale “vile”, per scoprirvi “l’impronta del Creatore”: così egli chiamava le leggi fondamentali della natura, che nessuno prima di lui aveva scoperto. Non poteva sapere che in un minuscolo pezzettino di pietra ci sono miliardi di protoni, neutroni ed elettroni: un universo invisibile ma reale. È stata, quella del grande scienziato pisano (dalla pietre alle stelle), agli occhi di Zichichi, un’intuizione profonda e feconda, giacché, non potendosi fare esperimenti con le stelle, si possono studiare le pietre moderne, vale a dire le cosiddette “particelle elementari” della materia quark, leptoni, bosoni, ecc… Si sta parlando di quel Galilei che in vari esperimenti, spesso non eseguiti materialmente ma semplicemente raffigurati col pensiero (si pensi al “moto uniforme”), ha di fatto introdotto nella scienza, trecento anni prima di Einstein, il concetto di “relatività”.

Un altro leitmotiv nel libro di Zichichi (ribadito in ogni incontro pubblico) è che nella natura umana agiscono due componenti: l’Immanenza, ovvero tutto ciò che si può cogliere con i sensi, che è, per così dire, all’interno della “scatola” (il mondo, la storia, la natura, la dimensione bio–psicologica dell’individuo) e la Trascendenza, vale a dire ciò che sta oltre il visibile, fuori della “scatola”, al di là, al di sopra. Il celebre fisico tiene a precisare a questo riguardo che non c’è ormai nulla, entro il perimetro di queste due dimensioni, l’Immanenza e la Trascendenza, che la scienza moderna non abbia studiato. Ciò significa che l’uomo, che come tutte le forme viventi sta nell’Immanente, ma che a motivo della sua struttura esistenziale è in grado di concepire il Trascendente (è un essere finito che tende all’infinito) è l’oggetto privilegiato del pensiero scientifico moderno. Ad illustrare la distanza che corre tra la Scienza vera e quella superficialmente divulgata, Zichichi, con linguaggio accessibile anche ai non specialisti, e quasi conducendo per mano il lettore o l’ascoltatore, è solito prendere come esempio un argomento abbastanza popolare anche presso il  grosso pubblico: quello del cosiddetto Big Bang, vale a dire l’esplosione – se così si può dire – che in una frazione di secondo, a partire da un solo atomo primigenio, avrebbe dato vita all’Universo (ipotesi, peraltro, che fu elaborata da uno studioso che era un sacerdote gesuita, tale Georges Lemaître – 1894/1966 – , e che richiama alla mente il divino atto creativo, il Fiat  – Si faccia ! Si compia! – di biblica memoria). Sul grande tema Zichichi chiarisce che un solo Big Bang non sarebbe sufficiente a spiegare la realtà attuale del cosmo: di Big Bang ce ne vogliono tre. Il primo è di fondamentale importanza per passare dal vuoto fisico all’universo (ciò che non è…da poco), che, dopo venti miliardi di anni, ha miliardi e miliardi di stelle e di galassie: tutta materia inerte. Il secondo è necessario per passare dalla materia inerte alla materia dotata di vita (“dalla pietra alla rondine”, per intenderci), che è già un salto che appare inimmaginabile con la sola logica umana ed è tema che lo scienziato siciliano aveva prospettato già circa mezzo secolo fa in un congresso scientifico che si svolgeva a Washington, suscitando nell’uditorio reazioni controverse. Fondamentale poi per la nostra esistenza è il terzo Big Bang, che segna il passaggio dalla materia dotata di vita alla materia dotata di intelligenza.

Esistono milioni di forme di materia vivente, animale e vegetale, ma solo una di esse, quella a cui noi apparteniamo, possiede una proprietà, frutto di un decisivo salto di qualità, alla quale si dà il nome di ‘ragione’, termine con il quale si indica intelletto e coscienza (“L’uomo è un animale ragionevole” scrive Aristotele – 384/383-322 a.C.  –) e non la semplice percezione o la tendenza istintiva all’autoconservazione (un minimo di ragione, se così si può dire, propria anche degli animali), ma una facoltà che indica tanto la piena coscienza del proprio essere quanto l’intelligenza creativa. In che cosa consiste questa ragione? Nella capacità, propria dell’uomo – puntualizza Zichichi – di produrre tre grandi cose: il linguaggio, di cui è espressione la memoria collettiva permanente, meglio nota come scrittura, cioè linguaggio scritto; la logica, meglio nota, nella sua espressione rigorosa teorica, come matematica; la scienza, che altro non è che logica rigorosa sperimentale. Se il linguaggio è, detto in soldoni, la capacità di esprimere e comunicare concetti (e già in questa prima dimensione deve agire, in una prospettiva di conoscenza scientifica, una precisione concettuale e una descrizione quanto più esauriente e oggettiva dei fenomeni, un rigore minimo che nella sua forma più alta è la filosofia), la logica è la possibilità di costruire strutture che debbono “rispettare i patti”, vale a dire pervenire a conclusioni coerenti con le premesse. Tipico esempio di logica (disciplina inventata dai Greci tremila anni fa) è la geometria euclidea, che abbiamo tutti abbiamo studiato a scuola: da cinque postulati, cioè premesse non dimostrabili perché evidenti, a cui si chiede pertanto di prestare fede, si ricava un’enorme quantità di teoremi, tra cui quello celebre, che ha assunto valore paradigmatico, che va sotto il nome di “teorema di Pitagora”.

Si tratta dunque non di parole in libertà, ma di una struttura rigorosamente logica, come se ne possono costruire numerose altre: si possono costruire diverse logiche, vale a dire differenti forme di procedure teoriche rigorose, tali cioè che, come il teorema di Pitagora, conducano a conclusioni coerenti con le premesse e escludano la loro negazione. Tuttavia, struttura logica rigorosa, di cui la formalizzazione matematica è l’espressione più compiuta, non equivale ancora a scienza, pur costituendone la premessa: scienza è, come dianzi si accennava, struttura logica rigorosa verificata sperimentalmente, vale a dire riproducibile. È, questo, il tratto fondamentale della scienza galileiana: è ciò che permette di stabilire se una determinata teoria descrive o no un fenomeno realmente esistente. Questa interessantissima ed estremamente sintetica esposizione di ciò che il grande fisico ci dà a mo’ di premessa, da un lato ci fornisce un chiaro criterio per distinguere tra ciò che è scienza e ciò che scienza non è (non è scienza l’astrologia – tanto per fare un esempio – giacché si basa su un presupposto, le costellazioni, distinti gruppi di stelle, che in natura non esistono, essendo solo frutto di illusione ottica – le stelle ci appaiono ferme solo perché sono lontanissime – ; né dalle stelle e dai pianeti, in ogni caso, si è scoperto sprigionarsi forze che influenzano i comportamenti umani),  dall’altro dà la misura di quanto la materia vivente e pensante (il risultato del terzo Big Bang) si differenzi dalla materia inerte e vivente ma non cosciente ed intelligente, ciò che ci autorizza a pensare che l’enorme salto qualitativo non può essere  frutto del caso, o del caos. Bastano queste considerazioni a farci capire, inoltre, come, a dispetto di una diffusa vulgata, la cultura dominante nella società attuale non è affatto moderna. Essa è, a giudizio di Zichichi, di fatto, pre–aristotelica in quanto ignora la logica rigorosa teorica (altrimenti detta “matematica”) e pre–galileiana dal momento che non ha ancora assimilato la logica rigorosa sperimentale (altrimenti detta “scienza”). Se lo avesse fatto, se nella cultura fosse invalsa la logica galileiana, tutte quelle teorie filosofiche come il comunismo scientifico avrebbero avuto vita breve e sarebbero state subito relegate nell’utopia, perché smentite dai fatti, cioè dall’esperienza (invece hanno fatto molti danni).

Questo vizio culturale di fondo fa sì che la Scienza venga ritenuta pressoché da tutti una disciplina da iniziati, difficile da padroneggiare, quando invece, a volerla frequentare seriamente, essa non è altro – a parere del nostro scienziato –  che lo sforzo per rendere semplice l’enorme complessità del mondo, e tutto questo nella consapevolezza, a fronte di una ricerca scientifica seria e intellettualmente onesta, che la sola intelligenza umana non è sufficiente a cogliere la logica che sottende il mondo, per la semplice ragione – aggiunge Zichichi con disarmante candore –  che Colui che lo ha fatto è più intelligente dell’uomo. Non è certo un caso che tutte le grandi scoperte scientifiche sono avvenute senza che nessuno avesse saputo prevederle, in modo del tutto inaspettato. C’è allora, a parere del grande fisico, un’unica strada per capire il mondo: porre domande a Colui che lo ha fatto, conclusione che potrebbe apparire ingenua ma che ingenua non è, e ricorda, sorprendentemente, un concetto già caro a Giambattista Vico (1668–1744), che sosteneva che solo Dio, che ha creato l’universo, ne può conoscere le vere leggi. Ed ecco allora Zichichi spiegare in Perché io credo in Colui che ha fatto il Mondo, uno stupendo libro in cui autobiografia intellettuale e passione didattica si fondono mirabilmente, quali sono e come agiscono le forze e leggi fondamentali che sono alla base di quella enorme complessità che chiamiamo “Mondo”, per poi ipotizzare come logica conseguenza l’esistenza del cosiddetto “Supermondo”. Lo fa con linguaggio rigoroso e semplice (per quanto sia possibile in una esposizione scientifica), ricorrendo, mano a mano che espone un concetto, ad esempi ed immagini tratti dalla realtà concreta che ci circonda, e con lo scopo, ricordato ad ogni piè sospinto, di mostrare come nel mondo, dall’universo subnucleare all’immenso cosmo, si possa intravedere una Logica. Il tutto è riconducibile a quella struttura a cui i fisici danno il nome di “Modello Standard” (grande paradigma scientifico del nostro tempo), che fa riferimento a sette Forze Elementari (che chiameremo anche “elementi”) e a quattro Leggi Fondamentali.

In riferimento alla Forze Elementari abbiamo: Spazio (con tre dimensioni: lunghezza, larghezza, altezza, tutte misurabili con la stessa unità di misura), Tempo; ma saremmo poco più di figure geometriche senza la Massa; ma saremmo solo delle statue senza Energia e Carica. A questo riguardo i fisici distinguono tra Carica di colore (ma non c’entra nulla con la vista), che genera la forza gravitazionale (che fa cadere le pietre dall’alto verso il basso, che tiene il nostro pianeta legato alla sorgente di luce e calore, il Sole, che tiene il Sole legato alle Stelle della nostra Galassia e le Galassie insieme a formare l’Universo, forza che possiamo definire, in qualche modo, lo scultore dell’Universo) e la forza elettromagnetica (senza la quale non ci sarebbe l’elettricità, la televisione, Internet, ecc.); le forze di Fermi (dette anche “forze deboli”), che permettono alle Stelle di avere una valvola di sicurezza che garantisce con estrema esattezza quanta «benzina» (i neutroni) deve essere prodotta ogni secondo affinché la stella non si spenga né salti in aria (questa valvola di sicurezza è la Carica Universale di Fermi, il cui valore è riuscito per primo a misurarlo un giovane Zichichi nel lontano 1961); e Carica di sapore (ma non c’entra nulla il gusto), che determina la stabilità della materia, che è fatta di massa e cariche subnucleari (basterebbero tre grammi d’acqua per produrre l’enorme quantità di energia che è occorsa per distruggere Hiroshima, perché la massa si può trasformare in energia).Per introdurre il settimo elemento, quello forse più affascinante, cosiddetto Spin (termine che in inglese vuol dire “movimento a trottola”), occorre rifarsi al grande salto qualitativo verificatosi nella ricerca scientifica negli ultimi 150 anni. A tale riguardo  l’espressione “elettromeccanica quantistica” riassume un’enorme quantità di scoperte in materia di elettricità, magnetismo e ottica, che nel 1873 il  già menzionato fisico e filosofo Maxwell (che in ordine ai rapporti tra Scienza e Fede si può considerare un precursore di Zichichi), a dimostrazione che tutti i fenomeni dell’elettromeccanica hanno una stessa origine, riesce, incredibilmente, a sintetizzare con sole quattro equazioni, che hanno resistito a tutte le rivoluzioni che la fisica ha dovuto affrontare nell’ultimo secolo e mezzo.

Quando ormai, a fine secolo, si pensava di aver scoperto tutto quello che c’era da scoprire, Joseph J. Thompson (1856–1940) scoprì il più piccolo pezzetto di elettricità, al quale nessuno aveva pensato prima, e lo chiamò “elettrone”. Immaginava che avesse la forma di una normale pallina, ma si sbagliava, giacché dopo trent’anni di studio si scoprì che era una pallina che gira attorno a sé stessa, una trottolina. La ragione di questa forma la comprese un altro fisico, Paul Dirac (1902–1984), che sintetizzò con un’equazione la grande novità di questo pezzettino di elettricità a forma di trottolina (da questa equazione – sia detto per inciso – incredibilmente, prende le mosse quello che Zichichi chiama “Il Super Mondo”, affascinante prospettiva a cui si accennerà di seguito). E quando Enrico Fermi, nel 1947, dopo la scoperta, nel cuore dell’atomo, nel 1932, del neutrone da parte di James Chadwick (1891-1974) – che per questo ricevette il premio Nobel – accarezzava l’idea che la fisica potesse essere vicina alla spiegazione del tutto, nessuno aveva ancora previsto l’universo subnucleare. Bisogna aspettare il 1964 con  Peter W. Higgs (1929–1924) per ipotizzare (potenza dell’intuizione!) l’esistenza di una particella a forma di pallina, quindi con spin pari a zero, vale a dire non dotata di movimento “a trottola” (come si era scoperto essere tutte le altre particelle subnucleari): il “bosone di Higgs”, che verrà denominato “La particella di Dio”, ciò che nulla ha a che fare, in questo caso, con l’esistenza di Dio, ma solo con la trovata pubblicitaria di un editore in riferimento alla grandissima difficoltà di scoprire questa particella. La scoperta, grazie alla potenza del più grande acceleratore di particelle mai costruito finora dagli esseri umani, il Large Hadron Collider, avverrà nel 2012 a Ginevra dopo una lunghissima e paziente ricerca a cui aveva indirettamente contribuito anche un ancor giovane Zichichi,

Il “bosone di Higgs” è una particella elementare (vale a dire che consiste solo di sé stessa) scoperta con massa immaginaria in una densità di energia pari a 140 GeV (che corrisponde a 140 miliardi di elettronvolt). Nella scoperta sono entrate in gioco, come specificato, la densità di energia (detta anche “lagrangiana” dacché Joseph-Louis Lagrange (1736–1813) intuì che per studiare un fenomeno il primo passo è formulare in termini matematici quale è la sua densità di energia) e la cosiddetta “massa immaginaria”, concetto, quest’ultimo, di fondamentale rilevanza nella struttura logica dell’universo. Il problema che Peter Higgs intese risolvere a partire dai primi anni sessanta del secolo scorso consisteva nel fatto che se per descrivere ciò che fanno i protoni, i neutroni e gli elettroni si prendeva in considerazione la massa reale, i calcoli non tornavano. Da qui l’idea di mettere nella densità di energia la massa immaginaria e scoprire che in questo modo le cose di cui è fatto il mondo acquistano «massa reale» senza che i calcoli saltino in aria. Quel bosone della cui scoperta tanto si è parlato non è la particella che dà la massa a tutte le altre, come spesso si è scritto, ma è la prova sperimentale dell’esistenza del meccanismo che nell’universo subnucleare dà origine alla massa, colmando un vuoto nella fisica delle particelle elementari e fornendo un importante tassello a quel Modello Standard, cui sopra si è fatto cenno, con il quale, nel campo della fisica, a partire dalla seconda metà del Novecento, si è cercato di unificare le forze che agiscono sia nella materia che nel cosmo. Se la “particella di Dio”, come è stato chiamato il “bosone di Higgs” nulla c’entra con la religione, come dianzi chiarito, è comunque il “materialismo scientifico” ad aver preso un’altra batosta. La prima batosta l’aveva presa quando Einstein aveva scoperto, come si illustrerà di seguito, che la massa dell’universo, fatta di stelle e galassie, è curvatura dello spazio-tempo. Ci sono voluti migliaia di anni per capire sia che massa e energia stanno in stretto rapporto, sia la differenza tra massa e materia.

Leggi la seconda parte dell’articolo

ANTONINO ZICHICHI, TRA SCIENZA E FEDE (parte 2)

 

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