L’ultimo volo di Superman (prima di essere abbattuto dai caccia israeliani)

Superman torna al cinema. Un film. Un racconto. Una parabola. Disturba chi ha perso il senso della realtà. Così l’eroe più ingenuo, più nobile, più trasparente della cultura popolare occidentale diventa una minaccia

Di Massimo Reina
Superman torna al cinema. Un film. Un racconto. Una parabola. Che non piace a Israele e ai suoi accoliti che subito piangono e gridano al razzismo.
Non è più tempo di supereroi. Non è tempo di eroi che salvano il mondo, di mantelli svolazzanti al tramonto, di parole scolpite nella pietra come “verità” e “giustizia”. È tempo di silenzi. Di silenzi densi, profondi, costruiti con perizia. È il tempo della complicità che si traveste da prudenza, del disimpegno che si spaccia per equilibrio. È il tempo di chi sa tutto e finge di non sapere, di chi vede e abbassa gli occhi.
Un eroe che scende in mezzo agli uomini e prova ancora una volta a dire: “No. Questo non è giusto.” Ma non ci è più concesso neppure questo. Il gesto più semplice, il più universale — difendere l’innocente, opporsi al carnefice — oggi è già troppo. Perché Superman non cita Gaza. Non dice Israele. Non fa nomi. Non mostra bandiere. Eppure, nel suo sguardo, nella sua postura, nei gesti con cui protegge un popolo senza difese, c’è qualcosa che disturba.
Disturba chi ha perso il senso della realtà, e ha trasformato ogni immagine nella sua caricatura, ogni verità nella sua ombra. Oggi la giustizia non è più una speranza, ma un’accusa. La giustizia è sospetta. Chi la invoca è un sovversivo, chi la raffigura è un propagandista, chi la interpreta è un nemico. Superman diventa allora un colpevole. Colpevole di avere ancora un’etica. Colpevole di non avere paura di essere umano.
Colpevole, infine, di credere ancora che un bambino vada salvato prima di un confine, che una vita abbia valore anche se non ha un passaporto potente, anche se non appartiene a chi scrive la storia. Così l’eroe più ingenuo, più nobile, più trasparente della cultura popolare occidentale diventa una minaccia. I suoi nemici non sono più i mostri venuti dallo spazio, ma le redazioni editoriali, le segreterie di Stato, i commentatori da talk show che gridano “antisemita!” come un tempo si gridava “eretico!”.
La civiltà ha cambiato i suoi tribunali. Non brucia più i libri: li deride. Non elimina le voci: le marginalizza. Non censura: stigmatizza. E Superman, oggi, non può che essere esiliato. Espulso dal nostro immaginario collettivo perché troppo puro per servire la propaganda, troppo semplice per essere funzionale, troppo giusto per essere tollerato.
In un mondo in cui il consenso ha sostituito il bene, in cui l’indifferenza è la nuova forma di potere, in cui il male non ha più volto ma ha mille giustificazioni, Superman diventa insopportabile. Perché non ha scuse, non ha compromessi, non ha paura. Ma non può più volare.
E allora guarda il cielo — un cielo che non lo vuole più — e cammina tra le rovine. Tra i resti delle città bombardate, tra i corpi dimenticati, tra le voci spente. Cammina e ascolta. Non dice più nulla. Ma i suoi occhi parlano per lui. Dicono: io vedo. E oggi, forse, la vera forza non è volare, ma restare in piedi in mezzo alla viltà generale e continuare a guardare.
A guardare dove tutti si voltano.
A ricordare ciò che tutti vogliono dimenticare.
A essere ancora giusto, in un mondo che non vuole più sapere cosa sia la giustizia.

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