Il caso Ilaria Salis: errori personali, contesto autoritario e una candidatura molto conveniente

Ilaria Salis, arrestata in Ungheria per un’aggressione politica, è stata eletta al Parlamento Europeo dopo una candidatura discussa. Il voto sulla sua immunità è ancora in corso e ha aperto un acceso dibattito: da un lato, l’irresponsabilità delle sue azioni; dall’altro, il rischio di un processo non equo in un’Ungheria sempre più autoritaria sotto Orbán

23 sett. 2025 – Il Parlamento Europeo si prepara a decidere se revocare o meno l’immunità a Ilaria Salis, eurodeputata italiana arrestata in Ungheria nel 2023 con l’accusa di aver partecipato a un’aggressione contro militanti di estrema destra. Un voto complicato, perché dietro il caso giudiziario c’è molto di più: c’è una storia politica, una scelta di partito e un problema serio di credibilità per le istituzioni europee.

I fatti sono chiari. Salis è andata volontariamente in Ungheria per unirsi a un’azione violenta, premeditata, condotta da un gruppo radicale antifascista contro avversari politici. Non un gesto simbolico, non una protesta civile: un’aggressione vera e propria. Se tutto questo verrà confermato in tribunale, si tratta di un reato grave. Al di là della cornice ideologica, Salis ha commesso un atto sconsiderato, che ha avuto conseguenze pesanti sia per lei che per l’immagine dell’Italia all’estero.

Invece di combattere le idee che disprezza con gli strumenti della democrazia – dibattito, attivismo, cultura, politica – ha scelto la via dell’azione violenta, fuori dal suo Paese, in un contesto che non conosceva e senza alcuna utilità concreta. Una “scorribanda” inutile e dannosa, che ha gettato discredito su battaglie importanti e ha aperto una crisi diplomatica che ancora oggi costringe l’Italia a muoversi in equilibrio precario tra la tutela dei propri cittadini e il rispetto delle regole internazionali.

Ma proprio quando la giustizia ungherese si preparava a processarla, è arrivata una svolta. Dopo oltre un anno di carcere, Salis è stata candidata alle elezioni europee dal Partito Democratico (nella lista AVS) e – grazie alla visibilità del caso – è stata eletta eurodeputata. Una mossa che molti hanno definito “acrobazia politica”, probabilmente studiata per garantirle l’immunità parlamentare e sottrarla così al processo in Ungheria.

Una mossa legittima dal punto di vista formale, ma che solleva più di un dubbio sul piano etico e istituzionale. È corretto usare la candidatura a un incarico europeo come scudo giudiziario? È accettabile candidare chi è sotto processo per violenze, pur di lanciare un messaggio politico? E soprattutto, cosa dice tutto questo sul rapporto tra giustizia, politica e responsabilità personale?

Chi difende Salis ricorda – giustamente – che l’Ungheria di Viktor Orbán non è un modello di democrazia. Il governo ungherese è da anni sotto accusa per aver ridotto l’indipendenza della magistratura, controllato i media e limitato le libertà civili. In questo contesto, è legittimo dubitare che Salis possa avere un processo equo. Il Parlamento Europeo stesso ha denunciato queste derive autoritarie.

Ma tutto questo non basta a cancellare le responsabilità personali. L’errore grave è stato commesso da lei, non da Orbán. Il rischio oggi è che si passi da una situazione di ingiustizia (un processo potenzialmente politico) a una di impunità (un mandato elettorale usato come scudo). E l’Europa si trova nel mezzo: deve difendere i propri valori, ma anche pretendere che chi li rappresenta dia l’esempio, non si nasconda dietro le regole.

Ilaria Salis ha sbagliato. Ha fatto una scelta irresponsabile, violenta e inutile. Ma deve essere processata in modo equo, non usata come trofeo politico da un regime autoritario. La sua elezione al Parlamento Europeo è forse servita a proteggerla da un sistema giudiziario discutibile, ma ha anche sollevato interrogativi seri sul senso delle istituzioni e sul rispetto dei cittadini che quelle istituzioni dovrebbero servire.

Ora tocca al Parlamento europeo decidere. E qualunque sia l’esito, resterà il segno di una vicenda in cui ideologia, calcolo politico e debolezze democratiche si sono mescolate in modo pericoloso.

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