L’articolo 11 non si interpreta, si rispetta. Chi lo aggira, tradisce la Costituzione. E soprattutto tradisce la memoria di chi lo ha scritto dopo una guerra mondiale.
C’è una frase che tutti ricordano delle elementari: «L’Italia ripudia la guerra». Sta scritta all’inizio dell’articolo 11 della Costituzione, nero su bianco, senza margini d’interpretazione. Non “limita”, non “discute”, non “valuta”: ripudia. Una parola che non lascia spazio a compromessi.Se ripudi la guerra, non puoi alimentarla vendendo armi a chi la combatte. È come dire di ripudiare l’alcol e poi aprire un bar h24 davanti al Sert: formalmente puoi farlo, ma tradisci il senso della regola.
La Costituzione non è un contratto da interpretare a convenienza. È stata scritta dopo una guerra mondiale, con un messaggio limpido: l’Italia non deve diventare complice dei massacri altrui. Eppure, da anni, il nostro Paese ha preso l’abitudine di aggirare quella formula come se fosse un intralcio burocratico, un ostacolo scomodo al “dovere occidentale” di partecipare a guerre altrui. Così si armano governi, si finanziano conflitti, si inviano munizioni e mezzi militari che, per definizione, non portano la pace ma alimentano la distruzione.
I costituzionalisti lo dicono da tempo: l’articolo 11 non ammette l’invio di armi a Stati belligeranti. Consente solo limitazioni di sovranità finalizzate alla pace (ONU, UE, trattati internazionali). Nulla a che vedere con la fornitura di missili o carri armati a governi che combattono guerre d’offesa o di difesa preventiva. Eppure la politica italiana – di ogni colore – ha trovato nell’espressione “aiuto militare” la scorciatoia semantica per chiamare pace ciò che è guerra.
Il risultato è paradossale: un Paese che proclama il ripudio della guerra diventa esportatore di strumenti di morte. Un Paese che dovrebbe difendere la neutralità diventa complice di conflitti globali. La verità è che l’articolo 11, in questi anni, è stato ridotto a slogan da celebrazione, utile solo ai discorsi ufficiali del 2 giugno. Ma la Costituzione non è un manifesto da appendere alle feste: è legge fondamentale, vincolo inderogabile.
E se oggi l’Italia manda armi all’estero, allora occorre avere l’onestà intellettuale di ammettere che lo fa contro la Costituzione. Tutto il resto – i sofismi legali, i giochi di parole, le giustificazioni geopolitiche – sono cortine fumogene per nascondere un fatto semplice:
Il ripudio della guerra, scritto dai padri costituenti col sangue ancora caldo della Seconda guerra mondiale, è stato tradito.