Roma, 30 set. (Adnkronos/Labitalia) – Rilevante, e meritevoli di una riflessione su equità ed efficienza del nostro sistema fiscale, anche i profili di distribuzione dei contribuenti che, sulla base di quanto dichiarato nel 2024, hanno corrisposto almeno 1 euro di Irpef nel 2023. Emerge dalla dodicesima edizione dell’Osservatorio sulle entrate fiscali, a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, presentata oggi alla Camera dei Deputati insieme a Cida-Confederazione italiana dirigenti e alte professionalità.Nel dettaglio, da 0 a 7.500 euro lordi si collocano 7.288.399 soggetti, il 17,12% del totale, che pagano in media 26 euro di Irpef l’anno (19 se rapportati ai cittadini) e sono pertanto pressoché a carico dell’intera collettività. Nella fascia subito superiore, quella dei contribuenti che dichiarano redditi tra i 7.500 e i 15.000 euro lordi l’anno sono 7.696.479: in questo caso, al netto del tir, l’Irpef media annua pagata per contribuente è di 296 euro (214 euro per abitante), a fronte – a titolo esemplificativo – di una spesa sanitaria pro capite pari di circa 2.222 euro. L’insieme di queste 3 fasce di contribuenti, vale a dire 16.169.510 soggetti versano solo 1,19% del totale Irpef: rapportato al numero di abitanti, questo significa 22,409 milioni di persone (l’equivalente di Lombardia, Lazio, Campania e oltre) pagano, al netto di deduzioni e detrazioni un’imposta media di 100 euro annui. Tra 15.000 e 20.000 euro di reddito lordo dichiarato si trovano circa 5 milioni di contribuenti, che pagano un’imposta media annua di 1.817 euro, che si riduce a 1.311 euro per singolo abitante; seguono da 20.001 a 29.000 euro 9,7 milioni di contribuenti, con un’imposta media di 3.750 euro che scende a 2.706 se rapportata al totale abitanti: un importo che, come per la fascia successiva, basterebbe di per sé a coprire i costi della spesa sanitaria pro capite, ma che resterebbe comunque insufficiente guardando alle altre principali funzioni di welfare non coperte da contributi di scopo, tra cui appunto l’assistenza. Seguono quindi i redditi tra 29.001 e 35mila euro, fascia in cui si collocano 4.359.429 contribuenti pari a 6.041.664 abitanti: questi contribuenti, il 10,24%, pagano un’imposta media di 6.254 euro l’anno, 4.512 euro per abitante, e versano complessivamente il 13,16% delle imposte. Sommando tutte le fasce di reddito fino a 29mila euro, si evidenzia dunque che il 72,59% dei contribuenti italiani versa soltanto il 23,13%: di tutta l’Irpef. “Una fotografia più vicina a quella di un Paese povero che di uno Stato membro del G7 e che parrebbe oltretutto poco veritiera guardando a consumi e abitudini di spesa degli italiani, che solo nel 2023 hanno destinato al gioco d’azzardo, slot machine e gioco online compreso, circa 150 miliardi di euro o che, ancora, figurano ai primi posti in Europa per possesso di abitazioni, moto e autoveicoli, smartphone e abbonamenti a pay-tv”, commenta Alberto Brambilla, presidente del Centro studi e ricerche Itinerari previdenziali. Ma quindi chi paga davvero le tasse in Italia? A salire, la scomposizione per scaglione mostra quei poco più di 7 milioni di versanti con redditi superiori ai 35mila euro che, nella sostanza, si fanno carico del finanziamento del nostro welfare state. Più precisamente, esaminando le dichiarazioni relative agli scaglioni di reddito più elevato, sopra i 100mila euro, l’Osservatorio individua solo l’1,65% dei contribuenti (poco più di 700mila persone, meno degli abitanti della città di Torino, per fare un esempio) che, tuttavia, versano il 22,43% del totale Irpef. Sommando i 1.776.374 ( il 4,17% del totale, paganti il 17,88% del totale delle imposte) titolari di redditi lordi da 55.000 a 100mila euro, si ottiene che il 5,82% paga il 40,31% dell’Irpef. Includendo anche i redditi dai 35.000 ai 55mila euro lordi, risulta pertanto che il 17,17% paga il 63,71% dell’imposta sui redditi delle persone fisiche. Ricomprendendo infine lo scaglione 29mila-35mila euro, ‘autosufficiente’ su quasi tutte le funzioni di welfare salvo una quota di assistenza, si ottiene che il 27,41% dei contribuenti corrisponde il 76,87% dell’Irpef complessiva e, si suppone, una quota altrettanto rilevante delle altre imposte.Volendo esemplificare la poco efficace progressività nella ripartizione del carico fiscale, basti fare un esempio: considerando l’effetto tir: al 2023 le imposte pagate da un lavoratore dipendente con un reddito tra 35 e 55mila euro sono 34 volte quelle di un reddito tra 7.500 e 15mila euro, mentre tra 100.000 – che valgono al netto delle tasse circa 52mila euro – e 200.000 euro sono pari a 149 volte; con oltre 300mila euro di reddito, l’imposta equivale a 814 lavoratori tra 7.500 e 15mila euro (133 con redditi tra 15 e 20mila). “Basta guardare questi numeri per capire dove sta la verità: meno di un terzo dei contribuenti sostiene da solo oltre tre quarti dell’Irpef. È una sproporzione che non possiamo ignorare. Non è un sistema progressivo, ma un meccanismo che concentra il peso fiscale su una minoranza e lascia il resto del Paese sulle spalle di pochi. Chi guadagna dai 60mila euro in su, di fatto, finisce sempre per pagare per due: per sé e per chi resta totalmente a carico della collettività. E’ la trappola del ceto medio: molti ricevono senza dare, pochi danno senza ricevere. Ed è su questi pochi che regge l’intero welfare italiano”, puntualizza Stefano Cuzzilla, presidente Cida.