Ucraina e Zelensky: anche Trump si è rotto le “bombe” del comico in maglia verde…

Zelensky cerca l’escalation, ma Trump non ci casca: l’ex presidente smaschera la strategia ucraina di prolungare la guerra e rifiuta l’invio di nuovi missili

Pare che Donald Trump, tra un comizio e l’altro, abbia incontrato Zelensky e – udite udite – abbia avuto l’ardire di dire la verità. Una verità semplice, da uomo d’affari più che da statista con la cravatta slacciata: “No, Volodymyr, niente missili a lungo raggio. E no, non vogliamo la Terza guerra mondiale per salvare un confine che cambia più spesso dei palinsesti RAI”.

Apriti cielo. Sguardi torvi, facce tirate, media occidentali in fibrillazione. La CNN, col fiato corto come dopo una maratona per la democrazia, parla di colloqui “tesi, onesti, scomodi”. Tradotto: Trump ha detto chiaramente che l’Ucraina sta cercando di prolungare il conflitto, e lui non ci sta più. Ha fiutato l’escalation a tavolino, quella a cui Zelensky sembra lavorare come uno sceneggiatore a corto d’idee, ma con tanti effetti speciali.

Zelensky – ormai più attore che presidente, più PR che comandante in capo – non vuole la pace, non cerca la trattativa, non accetta la realtà. Vuole la guerra ad oltranza, l’applauso in standing ovation, e soprattutto i soldi, i droni, i missili. Perché tanto a morire sono gli altri. E se si crea un bel disastro, magari anche nucleare, allora forse l’Occidente sarà costretto a intervenire.

Ma non finisce qui. Perché, come in ogni teatro dell’assurdo che si rispetti, entrano in scena i “Volenterosi Quattro dell’Apocalisse”: Macron, Merz, Stubb, Starmer, Tusk e l’immancabile Meloni, che ormai fa la cheerleader atlantista con i pon-pon a forma di F-16. Tutti impegnati a inventarsi nuovi casus belli: un drone che vola troppo vicino a Odessa, un attacco hacker attribuito senza prove al solito “Gruppo Wagner” reloaded, una scintilla qualunque da trasformare in incendio globale. In fondo, lo diceva anche Shakespeare: “Datemi un pretesto, e vi scateno una tragedia”.

L’obiettivo è chiaro: trascinare l’Europa — o ciò che ne resta — dentro una guerra nucleare “per procura”, dove i soldati veri muoiono in Ucraina, gli armamenti veri partono da Washington e Berlino, ma il palcoscenico resta sempre Kiev, con Zelensky in mimetica a declamare Shakespeare o Stanislavskij, dipende dal copione del giorno.

Trump, che ha mille difetti ma almeno non sogna l’Armageddon in prima serata, ha detto semplicemente: basta. L’ha detto al pupazzo di Washington (Zelensky), l’ha detto ai suoi generali, e l’ha detto soprattutto a un’America che, al contrario dell’Europa dei volenterosi, ha ancora qualche neurone per distinguere tra sicurezza nazionale e suicidio assistito.

Perché, sia chiaro, Trump ha capito quel che finge di non vedere l’intero establishment occidentale: che Zelensky non è interessato a vincere, ma a trascinare tutti nel suo stesso baratro, costringendoli a una guerra lunga, inutile, devastante. Per non perdere la faccia, per non perdere i fondi, e forse anche per non perdere sé stesso. E che chiunque vinca una guerra nucleare, perde comunque tutto. Lo ha detto. Lo ha mostrato. E oggi fa più paura uno che non vuole la guerra, che quattro leader che la preparano sorridendo.

Ma qui in Europa, tra redazioni che sembrano uffici stampa del Pentagono e politici che confondono la difesa con l’aggressione preventiva, si continua a giocare con le bombe come se fossero i dadi del Risiko. Peccato che non ci sia il tasto “nuova partita”. E allora ben venga l’irritazione di Zelensky. Ben venga lo sguardo torvo di Macron. E ben vengano le scenette isteriche dei “difensori della libertà” a senso unico.

Perché se la pace vi fa così schifo, almeno abbiate il coraggio di dirlo senza nascondervi dietro i droni.

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