Mar Caspio: Firmato a San Pietroburgo un accordo contro le interferenze esterne

Nel corso del vertice dei comandanti navali degli Stati che si affacciano sul Mar Caspio è stato firmato un accordo volto ad implementare la cooperazione inter-statale e mettere al bando le interferenze straniere su affari di governance e sicurezza del bacino idrico. Nonostante ciò, il Caspio rimane un mare conteso e l’armonia tra i Paesi rivieraschi non risulta sempre facile da raggiungere

Di Valentina Chabert

Al termine del vertice dei comandanti navali degli Stati costieri del Mar Caspio, lo scorso 8 ottobre a San Pietroburgo, Azerbaigian, Iran, Kazakistan, Turkmenistan e Russia hanno firmato un documento che vieta le interferenze straniere negli affari del Mar Caspio.

L’accordo riflette la volontà condivisa delle alte autorità degli stati costieri di rafforzare la cooperazione,  ed in particolare di garantire una sicurezza duratura in tutto il bacino. Secondo il documento, nessun Paese straniero o potenza extraregionale sarà autorizzata ad interferire negli affari interni del Mar Caspio. Su questa linea, durante l’incontro si è altresì discusso l’ampliamento dei formati di cooperazione tra gli stati rivieraschi del Caspio per aumentare la fiducia reciproca e la sicurezza.

Nello specifico, i comandanti navali degli stati rivieraschi hanno sottolineato che il mare appartiene ai cinque stati rivieraschi e, di conseguenza, la garanzia della sicurezza e le questioni relative al Caspio possono essere decise solo da questi ultimi.

Con 5970 chilometri di costa e una profondità massima di 1030 metri, il Mar Caspio si caratterizza per essere il più ampio bacino idrico interno privo di emissari, nonché il terzo giacimento petrolifero dopo il Golfo Persico e la Siberia e la seconda riserva di gas naturale al mondo, con circa 3275 trilioni di metri cubi.

Nonostante sia soggetto ad una progressiva regressione per via della depressione dei fondali, l’importanza geo-economica dell’area tradizionalmente sottoposta alla sfera d’influenza del mondo slavo, della civiltà persiana e dello spazio turcico è stata protagonista delle tensioni che nell’ultimo ventennio hanno contrapposto gli Stati rivieraschi, che sulla base di interessi strategici si contendono lo spazio marino e le risorse naturali presenti in esso.

All’indomani della dissoluzione dell’Unione Sovietica, il potenziale sfruttamento dei giacimenti offshore di gas e petrolio come motore dello sviluppo economico delle repubbliche neo-indipendenti di Azerbaijan, Kazakhstan e Turkmenistan ha riportato in auge la questione della definizione dello status legale del Caspio, tradizionalmente regolato da trattati frutto della relazione bilaterale tra Iran e Unione Sovietica.

Benché i persiani conservassero il diritto alla navigazione commerciale, il Caspio venne completamente subordinato alla giurisdizione russa, che ne mantenne i diritti di monopolio sino alla rivoluzione d’ottobre. La determinazione dell’Unione Sovietica di impedire la navigazione all’interno del bacino caspico alle forze navali straniere portò pertanto alla firma, nel 1921, di un Trattato di amicizia con la Persia, la cui implementazione avrebbe consentito la tutela del Caspio da eventuali minacce esterne. Ciononostante, la questione della delimitazione delle acque rimase irrisolta.

Un primo accenno ad un ipotetico status giuridico del Mar Caspio fu incluso attraverso un accordo successivo relativo alla regolazione delle attività di esplorazione e ricerca scientificanelle aree adiacenti alle coste risalente al 1940, in virtù del quale le autorità sovietiche ed iraniane diedero avvio a trivellazioni ed estrazioni congiunte di idrocarburi in mare aperto.

L’accordo si tradusse, tuttavia, in uno sbilanciamento a favore dell’Unione Sovietica, che, l’anno successivo invase il nord dell’Irancon l’obiettivo di prevenire un eventuale allineamento dello scià con le potenze dell’Asse impegnate nel secondo conflitto mondiale.

La disputa sullo status del Mar Caspio e la competizione tra gli stati rivieraschi si riaccese nuovamente nel 1991, quando le repubbliche indipendenti di Kazakhstan, Turkmenistan e Azerbaijan rivendicarono il diritto di sfruttamento delle risorse caspiche e la definizione di un regime condiviso che riflettesse le ambizioni strategiche dei singoli Paesi. Regime che tuttavia resta ancora incerto dopo oltre un ventennio di stallo delle negoziazioni, e che solo un debole compromesso raggiunto nel 2018 ha tentato di sbloccare.

Oltre alla contesa dei giacimenti di gas e petrolio, la gestione idrica, ittica e i proventi derivanti dall’industria del sale hanno di fatto accentuato le tensioni tra le ex-Repubbliche sovietiche e le potenze tradizionalmente responsabili della gestione del Caspio.

Al centro delle tensioni tra gli Stati rivieraschi vi è inoltre la difficoltà di attribuire al bacino la connotazione giuridica di mare o lago, questione che comporta differenti implicazioni giuridiche e si riflette in modo particolare sulla delimitazione marittima delle Zone Econmiche Esclusive (ZEE). In aggiunta, stabilire se al Caspio debba essere attribuito lo status di lago o mare si riflette altresì sui  diritti di sfruttamento delle riserve offshore di gas e petrolio.

A tal proposito,la firma della Convenzione sullo Status Legale del Mar Caspio durante un vertice tenutosi il 12 agosto 2018 nella città di Aktau, in Kazakhstan ha tentato di allineare le esigenze strategiche ed economiche dei cinque stati firmatari, che hanno conseguito la delimitazione delle acque territoriali e le rispettive zone esclusive di pesca stabilendo al contempo lo status di spazio marittimo comune per le restanti aree.

 

Pipeline in industrial district

 

Nonostante ciò, rimangono ancora numerosi dubbi riguardo alla suddivisione e ai diritti di sfruttamento dei fondali marini, che si riflettono sulla possibilità di avviare attività di esplorazione ed estrazione degli idrocarburi presenti nei giacimenti.

In particolare, l’articolo 14 dell’Accordo del 2018 disciplina una serie di misure di sicurezza e ricerca scientifica legate alla questione dei giacimenti di idrocarburi, sancendo il diritto degli Stati parte alla posa di tubature e condotte all’interno del Mar Caspio tenendo conto dei potenziali danni ambientali.

Una questione che apre a nuovi interrogativi sulla misura in cui il fattore ambientale viene impiegato per impedire l’apertura di nuove rotte per il trasporto di gas e petrolio verso l’Europa, come sta accadendo nel caso della costruzione del gasdotto transcaspico (TCP) che permetterebbe al gas del Turkmenistan di raggiungere il continente europeo attraverso il collegamento con Baku e il passaggio attraverso il Caucaso e la Turchia.

Nello specifico, il progetto è visto in modo favorevole da Turkmenistan e Azerbaijan, che hanno l’obiettivo di diversificare i fornitori energetici e le rotte commerciali. Per di più a seguito del conflitto in Ucraina e del sabotaggio del Nord Stream, che collegava la Russia all’Europa garantendo stabili forniture energetiche a basso costo. In questo contesto, infatti, Azerbaigian e Turkmenistan attraverso il TCP potrebbero bypassare la Russia e accreditarsi come principali fornitori energetici per l’Europa.

A ben vedere, le principali opposizioni al progetto del gasdotto transcaspico provengono proprio da Mosca e, in misura simile, dall’Iran, che hanno giocato la carta della tutela ambientale del Mar Caspio mascherando le questioni di natura geopolitica e strategica da sincera apprensione per la natura e gli ecosistemi locali.

Sono dunque molteplici le  sfide strategico-commerciali nel Caspio, così come le tensioni tra Paesi rivieraschi mossi da interessi non convergenti.

 

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