Intervista di Mimma Cucinotta
Un goriziano fra poesia e filosofia. La riedizione 2025 Edizioni Bratain di un volume che restituisce la voce di Carlo Michelstaedter come “poeta della dissolvenza metafisica”. In attesa della presentazione a fine novembre a Gorizia, abbiamo incontrato Pierfranco Bruni per parlare di questo nuovo lavoro e dei temi che lo attraversano, ricordando Carlo Bo
Il volume Carlo Michelstaedter. Un goriziano fra poesia e filosofia (Edizioni Bratain) di Carlo Bo e Pierfranco Bruni, rinnova l’interesse per il giovane filosofo goriziano, figura centrale della cultura mitteleuropea.
L’Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei (ICM), grazie all’impulso di Carlo Bo (1911–2001) grande critico letterario esponente dell’ermetismo, fu rettore dell’Università di Urbino, ne promuove da decenni la conoscenza e la diffusione internazionale.
Pierfranco Bruni cura implementando con proprie riflessioni la riedizione postuma del volume di Carlo Bo ( la prima edizione di Bo risale agli anni ’60) offrendo una rilettura della densità filosofica di Carlo Michelstaedter.
Il volume, che sarà presentato a Gorizia nel novembre 2025, restituisce la voce di Michelstaedter come poeta della verità e della dissolvenza metafisica, nel solco dell’impegno culturale dell’ICM.
Pierfranco Bruni, antropologo e saggista tra i più autorevoli interpreti del pensiero letterario italiano, rieditando il volume torna a indagare la figura di Carlo Michelstaedter, il giovane filosofo goriziano morto suicida a soli ventitré anni, nel 1910.
Nato nel 1887 da una famiglia ebraica colta e borghese, Michelstaedter fu scrittore, poeta e pittore. Figlio di Alberto, dirigente delle Assicurazioni Generali, e di Emma Coen Luzzatto, crebbe in un ambiente aperto alla cultura ma privo di autentica religiosità, dove la ragione e la sensibilità convivevano in un equilibrio sottile.
Dopo il liceo a Gorizia, studiò a Vienna e poi a Firenze, dove si avvicinò alla filosofia di Schopenhauer, ai tragici greci, a Leopardi e a Ibsen. Nel 1907 tentò persino di proporre a Benedetto Croce la traduzione italiana de Il mondo come volontà e rappresentazione, ma non ricevette risposta: un segno della distanza tra la sua precoce genialità e il clima culturale del tempo.
Tra il 1909 e il 1910 scrisse la tesi che sarebbe diventata la sua opera più celebre, La persuasione e la rettorica, compendio di una vita consumata nella ricerca dell’assoluto. Il 17 ottobre 1910, dopo un diverbio con la madre, si tolse la vita, lasciando sul frontespizio della tesi una lampada e la parola greca apesbésthen — “mi sono spento”.
Di questo giovane pensatore, il libro offre una nuova e intensa lettura, coniugando verità storiche, pensiero sul filo della dissolvenza metafisica. Ne abbiamo parlato con Pierfranco Bruni.
Professor Bruni, cosa l’ha spinta a tornare su Michelstaedter e a dedicargli un nuovo saggio?
Michelstaedter è una presenza che non smette di parlare al nostro tempo. È il pensatore della verità, della tensione, della ricerca assoluta. Tornare a lui significa interrogare la vita come esperienza di autenticità. In lui convivono il rigore del filosofo e la vulnerabilità del poeta. Ogni volta che lo si studia si scopre un pensatore diverso, più attuale, più radicale. È come se la sua voce continuasse a risuonare nelle nostre inquietudini.
La famiglia ebraica e la formazione giovanile a Gorizia hanno inciso sulla sua visione del mondo?
Profondamente. Il padre, Alberto, era un uomo di scienza e di disciplina ottocentesca; la madre, Emma, incarnava l’affetto e la dimensione interiore. In questa dialettica tra ragione e sentimento nasce la sua inquietudine metafisica. L’ebraismo familiare era più una tradizione culturale che religiosa, ma gli offrì un senso di appartenenza e, insieme, di distanza. Michelstaedter crebbe sospeso tra l’educazione asburgica, la cultura europea e una spiritualità non dichiarata, ma fortemente percepita.
Negli anni fiorentini Michelstaedter entra in contatto con un ambiente intellettuale vivace. Quale importanza ebbe questo periodo?
Firenze fu per lui il luogo della maturità. Qui scoprì Schopenhauer e Leopardi, tradusse i classici, dipinse, discusse con amici e maestri. Tentò di dialogare con Benedetto Croce, ma il suo pensiero non trovò ascolto. La cultura italiana del tempo non era pronta per un giovane che anticipava l’esistenzialismo. In quegli anni Michelstaedter visse come un asceta inquieto, capace di trasformare ogni esperienza in pensiero.
Il suo libro insiste molto sulla contrapposizione tra “persuasione” e “rettorica”. È ancora attuale questo dualismo?
Più che mai. Michelstaedter ci insegna che la “persuasione” è la verità interiore, il contatto diretto con l’essere; la “rettorica” è invece la menzogna del vivere sociale, la maschera delle convenzioni. Chi vive persuaso affronta la vita come necessità; chi vive di retorica la consuma nell’apparenza. Nella società di oggi, dominata dall’immagine e dall’effimero, la sua lezione è un monito a ritrovare la profondità perduta.
Il suo nuovo libro restituisce Michelstaedter come “poeta della dissolvenza metafisica”. È corretta questa interpretazione?
È vera in tanto in quanto in lui la filosofia non è argomentazione ma visione. Tutto in Michelstaedter tende a dissolversi. L’io, il tempo, il gesto finale. Ma questa dissolvenza non è annullamento è un modo di guardare oltre, di oltrepassare i limiti del visibile. È in questa soglia che la sua voce volge all’infinito.
Professor Bruni, lei ha definito Michelstaedter il poeta dell’“ora del distacco”. Cosa rappresenta per lei questa condizione?
Michelstaedter vive l’ora del distacco come una dimensione ontologica. È il tempo in cui l’uomo riconosce il limite e tenta di oltrepassarlo con l’ebbrezza dell’infinito. In lui amore e morte si abbracciano come due volti della stessa tensione tragica. È il poeta che trasforma la fine in principio, la malinconia in conoscenza, la solitudine in presenza assoluta.
In Michelstaedter poesia e filosofia sembrano inseparabili. Qual è, secondo lei, il loro intreccio più profondo?
In lui poesia e filosofia non sono due percorsi distinti ma un unico cammino. La parola diventa pensiero e il pensiero si fa poesia. La “persuasione” è la ricerca di autenticità, la “rettorica” la maschera del vivere. Egli attraversa il labirinto del linguaggio per ritrovare l’essere, in una modernità che è già oltre la forma. La sua è una voce che unisce il simbolo alla metafora, l’essere alla parola.
Professore, tirando le fila sulla figura di Carlo Michelstaedter, in tre passaggi come chiudiamo questo incontro?
Michelstaedter è il poeta del limite, che fa del confine una rivelazione. È il filosofo della persuasione, in lotta contro la maschera della retorica per ritrovare la verità dell’essere. Ed è la voce della Mitteleuropa inquieta, dove malinconia e conoscenza si fondono nel tramonto, trasformando la solitudine in luce interiore.
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Pierfranco Bruni è nato in Calabria.
Archeologo direttore del Ministero Beni Culturali, presidente del Centro Studi “ Francesco Grisi” e già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’estero.
Nel 2024 Ospite d’onore per l’Italia per la poesia alla Fiera Internazionale di Francoforte e Rappresentante della cultura italiana alla Fiera del libro di Tunisi.
Incarichi in capo al Ministero della Cultura
• presidente Commissione Capitale italiana città del Libro 2024;
• presidente Comitato Nazionale Celebrazioni centenario Manlio Sgalambro;
• segretario unico comunicazione del Comitato Nazionale Celebrazioni Eleonora Duse.
È inoltre presidente nazionale del progetto “Undulna Eleonora Duse”, presidente e coordinatore scientifico del progetto “Giacomo Casanova 300”.
Ha pubblicato libri di poesia, racconti e romanzi. Si è occupato di letteratura del Novecento con libri su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D’Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e la linea narrativa e poetica novecentesca che tratteggia le eredità omeriche e le dimensioni del sacro.
Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e, tra l’altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (“Il cantico del sognatore mediterraneo”, giunto alla terza edizione), nel quale campeggia un percorso sulle matrici letterarie dei cantautori italiani, ovvero sul rapporto tra linguaggio poetico e musica. Un tema che costituisce un modello di ricerca sul quale Bruni lavora da molti anni.
Studioso di civiltà mediterranee, Bruni unisce nella sua opera il rigore scientifico alla sensibilità umanistica, ponendo al centro della sua ricerca il dialogo tra le culture, la memoria storica e la bellezza come forma di identità.
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