La cicala, la formica e noi: una fiaba antica per una società che non sa più ascoltare

Tra avarizia relazionale e incapacità di guardare lontano, il nostro tempo assomiglia più che mai ai due personaggi della favola: ricco di emozioni veloci, povero di cura, in cerca di un nuovo equilibrio tra cuore e responsabilità.

La favola della cicala e della formica continua a parlarci, oggi più che mai, perché la sua apparente semplicità nasconde un conflitto che attraversa la nostra società: l’eccesso di chi vive solo nel presente e l’eccesso di chi vive solo nel futuro. Due estremi che si attraggono e si respingono, due modi di stare al mondo che sembrano inconciliabili, ma che in realtà ci abitano entrambi, ogni giorno.

La cicala, con la sua leggerezza, canta. Canta perché sente il sole sulla pelle, perché l’estate la invita alla vita, perché il giorno è troppo breve per sprecarlo con i pensieri pesanti. La sua voce è un invito a ricordare che la vita è fatta anche di meraviglia, di spontaneità, di relazioni che non hanno bisogno di un tornaconto. La cicala vive il presente come un dono da celebrare. Ma la sua forza è anche il suo limite: il domani non esiste, o almeno non merita di essere pensato. Così, quando il vento cambia e il freddo arriva, restano solo il silenzio e un vuoto improvviso.

La formica, invece, non canta. O forse canta, ma nessuno la sente, perché la sua musica è fatta di passi piccoli e costanti. Lavora, accumula, prevedendo l’inverno. È prudente, precisa, previdente. Sa che il mondo può cambiare da un momento all’altro e che non si può vivere senza una visione del futuro. Il suo talento è la capacità di guardare avanti, di costruire, di proteggere la comunità. Ma anche lei ha un limite: il cuore, spesso, le resta stretto. La sua casa è piena di provviste, ma vuota di mani da stringere. E quando vede la cicala infreddolita, la prima reazione è difendere ciò che ha, temendo che condividerlo significhi perdere tutto.

Oggi viviamo come loro, divisi tra un mondo che ci invita al consumo immediato, all’emozione istantanea, alla felicità da mostrare nei social come un fuoco d’artificio, e un altro che ci spinge verso l’ansia del futuro, la paura del domani, la logica dell’accumulo, delle certezze, dei muri da costruire per proteggere ciò che abbiamo.

La cicala di oggi è chi vive di relazioni ma senza responsabilità: un cuore aperto, ma disattento; un entusiasmo che si accende facilmente ma si spegne allo stesso modo. È chi ama la compagnia, la festa, il calore umano, ma fa fatica a pensare al dopo, a costruire un progetto, a mettere radici. È la generosità dell’istante, che però non sempre sa diventare cura.

La formica contemporanea è chi vede e prevede, chi pianifica, chi struttura, chi tiene tutto in equilibrio. È il volto della responsabilità, spesso portata da persone che non si possono permettere leggerezze. Ma è anche chi si chiude, chi si irrigidisce, chi teme talmente tanto il domani da dimenticare il valore del presente. È l’avarizia relazionale che nasce non dalla cattiveria, ma dalla paura: la paura di perdere il controllo, di essere delusi, di essere feriti.

Ed ecco che nella favola di oggi, quando l’inverno arriva, la cicala non trova soltanto una porta chiusa: trova il riflesso di una società che giudica facilmente, ma ascolta poco. Una società che premia chi produce e fatica a dare spazio a chi “semplicemente” vive. Una società in cui si pretende efficienza anche nelle emozioni, come se la bontà dovesse essere misurata a obiettivi.

Ma la verità, se la guardiamo da vicino, è che né la cicala né la formica sbagliano del tutto. La cicala ci ricorda che senza calore umano il mondo diventa un luogo arido. La formica ci ricorda che senza ordine e responsabilità non possiamo costruire futuro. Sono due metà della stessa vita, due forme di intelligenza: una emotiva, l’altra pratica. Il problema non è ciò che sono, ma ciò che manca quando sono sole.

Immaginare un incontro tra loro, oggi, significa immaginare un nuovo modo di viverci, nelle famiglie, nelle comunità, nelle relazioni di ogni giorno. Forse la formica potrebbe imparare che condividere non è perdere, ma moltiplicare. Che un gesto di apertura può scaldare un inverno intero. E forse la cicala potrebbe capire che la leggerezza non è incompatibile con la responsabilità, che l’amore vero si costruisce anche con piccoli passi lenti, non solo con grandi emozioni.

Nella favola riscritta dal nostro tempo, l’inverno non è una punizione, ma un momento di verità. È il momento in cui ci accorgiamo che nessuno può salvarsi da solo. Le provviste della formica non bastano se restano chiuse in un magazzino; le canzoni della cicala non bastano se non diventano cura. La sopravvivenza, oggi come allora, non è solo un fatto materiale: è una questione di relazione.

E allora, forse, l’insegnamento nascosto è questo: la cicala e la formica non devono più guardarsi come opposti. Devono riconoscersi parte della stessa storia. Una storia in cui la visione del futuro trova senso solo se illuminata dal calore del presente, e in cui la bellezza del presente trova forza solo se radicata in un domani che stiamo costruendo insieme.

Forse, se ci pensiamo bene, siamo tutti un po’ cicala e un po’ formica. Dipende dal momento, dalla fatica, dalla stagione della vita. Ed è proprio questa oscillazione che ci rende umani: il desiderio di amare senza calcoli e la necessità di progettare senza paura.

Il mondo di oggi avrebbe bisogno di una cicala che non scappi dal domani, e di una formica che non scappi dal cuore. Una nuova alleanza, una nuova forma di comunità, in cui la leggerezza si faccia responsabilità e la responsabilità si faccia tenerezza. Perché l’inverno, quando arriva, lo si attraversa meglio insieme.

E forse, nella riscrittura finale della fiaba, c’è un’immagine che possiamo tenere per noi: una formica che apre la porta e una cicala che entra non per chiedere, ma per condividere ciò che ha – la sua musica, la sua presenza, la sua luce. Due fragilità che insieme diventano forza. Due prospettive che, intrecciate, fanno nascere un modo nuovo di stare al mondo: meno giudicante, più umano. Una società che sa prevedere il futuro senza smettere di amare il presente. Una casa calda, con le provviste e le canzoni. Dove nessuno resta fuori.

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