Dal cuore della Sicilia un invito che non è fuga, né disimpegno: è un modo nuovo di stare nel mondo, scegliere l’essenziale e restituire dignità alle relazioni
in memoria di mio padre Roberto
C’è una parola che in Sicilia abbiamo respirato fin da piccoli, quasi come un’espressione di famiglia. Una parola che sembra un sospiro, un gesto della mano, un sorriso di chi ne ha viste tante. Futtitinni.
Una “parola” che mi richiama nel cuore e nella mente l’affetto e la relazione con mio padre…. Mentore e accompagnatore di vita….
Per qualcuno è una resa, per altri un “lascia perdere”. Ma se la guardiamo bene, questa parola contiene una saggezza che oggi, forse più di ieri, diventa un vero atto politico, relazionale e umano.
Perché se c’è una cosa che il nostro tempo ci sta insegnando con brutalità è che non possiamo reggere tutto. Non possiamo assorbire ogni pressione, ogni notifica, ogni richiesta, ogni giudizio. Non possiamo sentirci costantemente in colpa se non rispondiamo subito, se non siamo perfetti, se non rientriamo nei canoni di un’efficienza che assomiglia sempre più a una catena di montaggio emotiva.
E allora futtitinni ritorna. Ma non come fuga.Ritorna come un atto di difesa dell’essenziale.
Oggi viviamo dentro un’epoca che confonde l’importanza con il rumore. Le cose che contano scompaiono sotto gli strati di ciò che pretende di contare. È come se la società ci spingesse continuamente verso una competizione senza volto, dove ogni opinione diventa guerra, ogni imperfezione un fallimento, ogni attesa un tradimento.
Eppure, dentro questo caos, c’è un modo per ritrovare il centro: comprendere che non tutto merita la nostra attenzione, il nostro tempo, il nostro cuore.
E qui futtitinni diventa rivoluzione. Non è indifferenza. Non è “me ne vado dal mondo”.È l’opposto: è scegliere di esserci davvero. Chi pratica questo “distacco buono”, infatti, non abbandona le relazioni: le purifica. Non smette di agire: concentra le energie su ciò che vale. Non evita la responsabilità: la riconosce e la alleggerisce da tutto ciò che la distorce.
In un contesto dove il giudizio sociale è diventato una sorveglianza costante, futtitinni è libertà psicologica. È la possibilità di rispondere con dignità e non con ansia. È l’autorizzazione a dire “no” senza sentirsi sbagliati. È la forza di non lasciarsi tirare in mille direzioni fino a perdere sé stessi. E, paradossalmente, è proprio questo che ci rende più presenti, più lucidi e più disponibili agli altri.
La Sicilia, con il suo modo di dire, custodisce un segreto pedagogico:
- si può essere responsabili senza essere schiacciati.
- Si può essere generosi senza annullarsi.
- Si può essere impegnati senza diventare prigionieri dell’impegno.
Quando un siciliano dice futtitinni, spesso sta dicendo:
“Non fare entrare nel cuore ciò che non merita di abitarlo.”
“Non dare potere a chi vuole toglierti respiro.”
“Proteggi la parte più viva di te.”
È una forma di ecologia interiore.
E forse è proprio questo che manca oggi: un’educazione sentimentale alla leggerezza profonda, quella che non è superficialità, ma arte del discernimento. Quella che distingue tra ciò che è urgente e ciò che è rumoroso, tra ciò che ci costruisce e ciò che ci consuma.
Molti giovani vivono nel paradosso di sentirsi osservati da tutti e visti da nessuno. Anche per loro futtitinnipotrebbe essere una porta di uscita da un modello di vita che ti chiede di performare sempre, di mostrare sempre, di giustificarti sempre. È il permesso di respirare. Di sbagliare. Di non essere all’altezza di ogni standard possibile. Di lasciar perdere ciò che non ti fa crescere.
E in questa libertà ritrovata ci si scopre più bravi ad amare, più capaci di ascoltare, più disponibili a costruire comunità vere. Perché la generosità senza radici diventa burnout; la responsabilità senza respiro diventa oppressione; il dono senza limiti diventa sacrificio sterile.
Ecco perché futtitinni non è deresponsabilizzazione. È responsabilità verso sé stessi, che è la condizione minima per la responsabilità verso gli altri.
In un mondo che ti chiede di essere sempre connesso, sempre aggiornato, sempre presente, sempre reattivo… dire futtitinni è come spegnere il rumore e riaccendere la vita.
È scegliere la qualità al posto della quantità. È mettere confini che proteggono e non isolano.È ritrovare la misura giusta del proprio cammino.
Siamo in un tempo in cui la trasformazione passa anche da parole che pensavamo semplici. Ma le parole, quando incontrano la vita vera, diventano strumenti. E quando diventano strumenti, diventano cultura.
Futtitinni è una cultura del limite buono. Una pedagogia dell’essenziale. Un invito alla libertà di non farsi travolgere.
E forse, proprio per questo, oggi può essere la risposta più necessaria. Perché solo chi è leggero nel cuore può diventare pesante nella storia. E solo chi si libera di ciò che non conta davvero può trovare la forza di cambiare ciò che conta per tutti.
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