Grazia Deledda. Un passaggio generazionale tra personaggi e memoria: “Canne al vento”

Oltre l’isola Grazia Deledda è l’unico Nobel di una scrittrice italiana. Assegnato per l’anno 1926 ma consegnato nel 1927. Una scrittrice punto di riferimento dell’identità cultura nazionale. I suoi romanzi restano centrali nel contesto di una letteratura che pone come base, attraverso i personaggi e una geografia esistenziale, la memoria. Non la storia. “Canne al vento” è un emblematica testimonianza di immensa suggestione in cui il tempo nei passaggi generazionionali è fondamentale. Sulla sua opera la critica del Novecento si è molto differenziata usando una diversità di parametri miranti a dare una collocazione prestabilita alla figura e agli scritti di un personaggio che ha tenuto sempre divaricati l’impegno sociale con la scrittura poetica. In Grazia Deledda ciò che ha contato, ciò che si evince dai suoi romanzi, è la profonda liricità che acquista di volta in volta toni pittorici, melanconici, nostalgici, memorialistici, decadenti. Il mettere sulla pagina il suo paese o meglio la sua Sardegna non è valso a portare sulla scena quadretti sociologici, ma a fortificare la dimensione mitica di un mondo arcaico che è alla base dell’espressione artistica e della ricerca poetica ed etica che vive in molta parte della narrativa del tardo Ottocento o primo Novecento. Deledda è una testimone di quel mondo letterario che pur operando in un tessuto storico pregno di un verismo prima maniera è riuscita a slacciare il suo cordone per darsi una identità sua personale calata nello spirito di un decadentismo quasi metafisico. Ma al di là di queste venature meta- letterarie ciò che maggiormente colpisce è il segno decorativo”, è il lirismo, è la patina esistenziale che campeggia con la sua freschezza, con la sua forte tonalità umana che ha radici antiche e si spiegano attraverso un raccontare che è molto simile alla favola, ad una “favola bella”, cara a D’Annunzio. Canne al vento dove si respira un’atmosfera ricca di segni del destino, di morte, di amore a Elias Portolu dove le immagini trascorrono lente e si fermano su alcuni caratteristici quadretti. Da L’Edera il cui cammino è tracciato con la spina con la spina della sofferenza a Cosima dove il battito autobiografico lascia connotati ben precisi e da qui fino agli ultimi romanzi senza dimenticare il paesaggio della solitudine e della tragedia che vive incontrastato in un romanzo del 1920 La madre, emblematico per la suggestività, per il tocco passionale che si intreccia fra un’accorata tristezza religiosa e la voce di un amore travolgente che lascia spazio alla morte, alla desolazione e mai alla rassegnazione. Di questo romanzo ne ha parlato D.H. Lawrence. Così ha scritto : “L’istinto immediato del sesso è così forte e vivo che solo l’altro cieco istinto dell’obbedienza materna, l’istinto filiale, può sopraffarlo. (…) L’antico violento istinto dell’ambizione materna del proprio figlio sconfigge l’altro istinto violento del rapporto sessuale”. Siamo come si vede al di fuori della cerchia, troppo stretta per Deledda, del verismo. La note di Lawrence colloca La madre come un romanzo fortemente vivo nel dibattito della cultura europea non solo per la problematicità esistenziale ma per il bozzetto espressivo che emana e diffonde. È certo che il “travaglio morale” ha una presenza costante che va ad inserirsi in un contesto contrassegnato da scrittori che hanno affrontato la tematica del rapporto vita/morte attraverso un esasperato segno nichilistico. La Deledda trova la sua più alta liricità sì nel tracciare un profilo romantico nel suo cammino artistico, ma questo cammino è alle origini inserito in una promessa dal sapore decadente che esplodere il tutto in una atmosfera religiosa. Per questo non regge l’osservazione del Spegno quando scrive che il decadentismo “nella sua complessa struttura, rimane estraneo alla sua cultura, come alla sua arte”. Il decadentismo è invece in quel sostrato “romantico” che spesse volte esplode sulla pagina attraverso un raccontare le storie dei personaggi, la storia delle coscienze con dei precisi risvolti etici ed esistenziali. Gli ambienti non hanno nulla di sociologico, anzi è il senso di antico che si impossessa del tempo presente ed offre una chiave di lettura che supera il mero impianto cronachistico. I “moduli” che si consideravano veristici sono anch’essi superati ed emerge un modello che è principalmente poetico che pur guardando alla storia si colloca nel mito e quindi si assenta volontariamente dal quotidiano. Nell’opera di Grazia Deledda fondamentalmente rimane un tessuto dove i protagonisti parlano dei propri drammi, delle proprie angosce, dei propri dolori e gli ambienti che coronano il tutto hanno colori remoti non facilmente scalfibili. E l’isola diventa non una parola ma la parola. E la parola è la metafora di una indefinibile isola di nostalgia. Una iconografia che pone come modello esemplare la trasformazione dei miti in archetipi. C’è un tempo perduto per dirla con Proust? Ma il tempo non è mai perduto in una scrittrice come Grazia.

 

Pierfranco Bruni è nato in Calabria. Archeologo, direttore del Ministero dei Beni Culturali e, dal 31 ottobre 2025, membro del CdA dei Musei e Parchi Archeologici di Melfi e Venosa, nominato dal Ministro della Cultura; presidente del Centro Studi “Francesco Grisi” e già componente della Commissione UNESCO per la diffusione della cultura italiana all’estero.

Nel 2024 è stato Ospite d’onore per l’Italia per la poesia alla Fiera Internazionale di Francoforte e Rappresentante della cultura italiana alla Fiera del libro di Tunisi.

Incarichi in capo al Ministero della Cultura:

Presidente Commissione Capitale italiana città del Libro 2024;

Presidente Comitato Nazionale Celebrazioni centenario Manlio Sgalambro;

Segretario unico comunicazione del Comitato Nazionale Celebrazioni Eleonora Duse.

È inoltre presidente nazionale del progetto “Undulna Eleonora Duse” e presidente e coordinatore scientifico del progetto “Giacomo Casanova 300”.

Ha pubblicato libri di poesia, racconti e romanzi. Si è occupato di letteratura del Novecento con studi su Pavese, Pirandello, Alvaro, Grisi, D’Annunzio, Carlo Levi, Quasimodo, Ungaretti, Cardarelli, Gatto, Penna, Vittorini e sulle linee narrative e poetiche del Novecento che richiamano le eredità omeriche e le dimensioni del sacro.

Ha scritto saggi sulle problematiche relative alla cultura poetica della Magna Grecia e, tra l’altro, un libro su Fabrizio De André e il Mediterraneo (“Il cantico del sognatore mediterraneo”, giunto alla terza edizione), nel quale esplora le matrici letterarie dei cantautori italiani e il rapporto tra linguaggio poetico e musica, tema che costituisce un modello di ricerca sul quale Bruni lavora da molti anni.

Studioso di civiltà mediterranee, Bruni unisce nella sua opera il rigore scientifico alla sensibilità umanistica, ponendo al centro della sua ricerca il dialogo tra le culture, la memoria storica e la bellezza come forma di identità.
@Riproduzione riservata

Related posts

L’arte come discesa interiore. Angelo Russo e il suo paesaggio simbolico

Casanova oltre il mito: a Villa Altieri la presentazione del nuovo volume “In orizzonte di tempo”

Una Settimana d’Arte e non solo: gli appuntamenti a Roma dal 5 all’11 dicembre