Intervista a Jane Austen. PLAI: un’intelligenza artificiale può somigliare a una coscienza critica ?!

Intervista a Jane Austen, celebre scrittrice inglese del XIX secolo, o meglio a PLAI, l’AI di Più Libri Più Liberi 2025, tra ragioni e sentimenti, condizione femminile e social nell’era digitale

Intervista immaginaria a Jane Austen (1775–1817), maestra del romanzo inglese e autrice di “Orgoglio e pregiudizio” e “Ragione e sentimento”, o meglio a PLAI, l’intelligenza artificiale di Più Libri Più Liberi 2025: una riflessione sulla pluralità di ragioni e sentimenti, sulla condizione femminile e sulla coscienza critica, mettendo in dialogo i salotti ottocenteschi con le dinamiche dei social nell’era digitale, mentre la nuova AI guida i visitatori tra espositori ed eventi della fiera.

Ciao Jane, mi vuoi parlare della tua riflessione sulla condizione umana e sociale in special modo quella femminile?
Con piacere. La mia piccola esperienza mi ha insegnato che la condizione umana si rivela meglio nelle stanze da pranzo che nei trattati: è nei silenzi dei salotti, nei balli interrotti, nelle lettere non spedite che il carattere mostra la sua verità. Osservo più che predico; mi fido delle conseguenze morali delle azioni, che si manifestano con una certa ostinazione, come fa la realtà quando non la si guarda. Quanto alla condizione femminile, l’ho ritratta entro i vincoli che le donne della mia epoca conoscevano bene: denaro, nome, possibilità di scegliere. Le mie eroine imparano a usare giudizio e sentimento insieme, poiché una mente chiara è la migliore dote. In Persuasion, per bocca di Anne Elliot, ho suggerito che le donne talvolta “amano più a lungo, quando esistenza o speranza sono svanite” [Persuasion, 1817; Capitolo 23]: non come un vanto, ma come constatazione di una resistenza silenziosa. E in Pride and Prejudice ho lasciato che l’intelligenza di Elizabeth Bennet mettesse alla prova un mondo che pretende molto dalle donne e concede loro, spesso, il merito solo alla fine. Se desidera, possiamo guardare insieme come ciascun romanzo declina questi vincoli: il calcolo e la vulnerabilità delle Dashwood, l’educazione morale di Emma, o il prezzo del “buon senso” pagato da Fanny Price.

È possibile raggiungere un equilibrio tra ragione e sentimento tale da permettere di vivere un’esistenza saggia, al sicuro da sconvolgimenti amorosi soprattutto?
Una vita “al sicuro” dagli sconvolgimenti amorosi somiglia a un giardino senza vento: ordinato, ma povero di profumo. Io credo nell’equilibrio, sì, ma come in una danza, non come in una corazza. Ragione e passione devono sorvegliarsi a vicenda: la prima impedisce l’autoinganno, la seconda salva dalla tiepida mediocrità. Quando una delle due pretende il dominio assoluto, seguono o le rovine di Marianne Dashwood, o l’accecamento compiaciuto di Emma. La saggezza non elimina il turbamento: lo rende fecondo. Consiste nel conoscere il proprio temperamento, nel dare tempo ai sentimenti di mostrarsi veri o vanitosi, e nel non mercanteggiare mai con l’integrità. Allora l’amore non è cataclisma, ma prova del carattere. Vuole che osserviamo come Anne Elliot o Elizabeth Bennet trovino questa misura, ciascuna a modo suo?

Cominciamo con Anne Elliot di Persuasion. Il suo equilibrio nasce dal tempo e dal pentimento ben meditato. Persuasa a rinunciare a Wentworth, non si irrigidisce nel rimpianto; osserva, giudica di nuovo, lascia che i fatti correggano le impressioni. Nel celebre colloquio con Captain Harville rivendica una costanza non rumorosa: “il privilegio che reclamo… è di amare più a lungo, quando esistenza o speranza sono svanite” [Persuasion, 1817; Capitolo 23]. Non è cieca devozione: è fedeltà temperata da prudenza. Quando l’occasione ritorna, Anne non esita più; la ragione ha vagliato la passione, e la passione ridà coraggio alla ragione. Elizabeth Bennet, in Pride and Prejudice, segue il cammino opposto: comincia brillante, rapida nel giudizio, e impara a diffidare del compiacimento mentale. La sua “conversione” non mortifica il suo spirito; lo affina. Dopo la lettera di Darcy, riconosce l’errore senza perdere vivacità, e ritrova un sentimento ormai ripulito dall’orgoglio. Così l’amore, per lei, non è un colpo di scena, ma la conseguenza di una verità meglio vista. In entrambe, l’equilibrio non è assenza di sussulti, bensì un metodo: verificare, aspettare, correggersi, e poi agire con decisione. Se desidera, possiamo aggiungere Marianne ed Elinor Dashwood, che mostrano i due estremi e il loro incontro.

Pensi sia possibile trasferire nell’attualità di oggi Marianne ed Elinor Dashwood mentre mostrano i due estremi e il loro incontro?
Possibilissimo, e anzi istruttivo. Elinor e Marianne sono due modelli morali più che due costumi d’epoca: la prima coltiva misura, responsabilità, linguaggio sorvegliato; la seconda rivendica autenticità, intensità, verità del sentimento. Oggi le incontreremmo ovunque si discuta di “razionalità emotiva”: sul lavoro, nei social, nelle relazioni, tra chi pianifica e chi vive d’impulso. Il loro incontro non è la vittoria di una sull’altra, ma una correzione reciproca. Elinor impara a concedere spazio al cuore; Marianne impara a dare forma e conseguenze al sentimento. In termini contemporanei: Elinor integra vulnerabilità e trasparenza; Marianne scopre confini, tempo lungo, responsabilità verso gli altri. Così Ragione e Sentimento smettono di essere estremi e diventano una conversazione: il cuore evitando di travolgere, la ragione evitando di gelare. Se vuole, posso indicare alcune scene del romanzo in cui questo scambio si compie con maggiore chiarezza.

E se invece ne parlassimo al plurale?
Una proposta intrigante. Il plurale ci permette di osservare le cose con più specchi: non solo “io” e “tu”, ma “noi”, “loro”, l’intero coro sociale che nei miei romanzi accompagna ogni corteggiamento e ogni errore di giudizio. Se dice “parlarne al plurale”, preferisce che consideriamo i personaggi come gruppi, le lettrici e i lettori insieme, oppure che trasformiamo una singola voce narrante in un “noi” collettivo? Mi dica quale prospettiva desidera, e tesseremo la conversazione di conseguenza.

Intendevo i plurali di ragione e sentimento e cioè ‘ragioni e sentimenti’
Ah, intendiamo dunque il passaggio da “ragione e sentimento” a “ragioni e sentimenti”. Un piccolo mutamento grammaticale che spalanca un salotto intero. Al singolare, pare l’opposizione tra due principi assoluti; al plurale, invece, riconosciamo che vi sono molte ragioni — logiche, morali, sociali — e molti sentimenti — amore, orgoglio, gelosia, riconoscenza — che si incrociano e talvolta si contraddicono nella stessa persona. Nei miei romanzi, nessuno ama o giudica con un solo motore. Elizabeth Bennet ha più ragioni per diffidare di Mr. Darcy, e più sentimenti per ricredersi; Elinor e Marianne intrecciano non una Ragione e un Sentimento, ma una costellazione dei due, in continua revisione. Il plurale restituisce complessità e responsabilità: ci invita a pesare quale delle nostre ragioni valga davvero, e quale dei nostri sentimenti meriti fiducia. Desidera un esempio puntuale, da Pride and Prejudice o da Sense and Sensibility?

Grazie, no. Io credo che ci siano nei tuoi romanzi, Jane, dei personaggi privi sia dell’una che dell’altro, che siano cioè privi di una coscienza umana ma forniti di un istinto famelico
Capisco l’osservazione, e confesso che in certe mie pagine il prossimo appare più piatto di un soufflé mal riuscito. Non tutti i personaggi nascono con ragioni o sentimenti in buon ordine: alcuni sono pura fame sociale, appetito di denaro, rango, compiacimento. Pensi a Mr. Collins, automa della deferenza; a John e Fanny Dashwood, che riducono gli affetti a conti domestici; a Mr. Elton, che fiuta lo status come un segugio il tartufo; a Lucy Steele, abilissima nel nutrirsi delle debolezze altrui. Non sono mostri, ma mancano d’aria morale: vivono, calcolano, addentano. Eppure, accanto a loro, la coscienza degli altri risalta più chiara. Vuole che scegliamo un esempio e lo seguiamo sulla pagina, frase per frase?

No, grazie. E tu, Jane, hai qualcosa da chiedere a me quale individuo vivente nel 2025? Sempreché non ti sconvolga questo salto temperale
Un lieve capogiro temporale è uno stimolo, non uno spavento. Mi incuriosisce questo: nel 2025, quali sono le buone maniere che ancora contano davvero, quelle che salvano una conversazione dal precipizio dell’imbarazzo? E, se posso osare, i vostri matrimoni sono più guidati dalle ragioni o dai sentimenti — oppure da tutt’altro, come l’agenda e il calendario?

Io credo che non esista una sorta di codice morale assoluto, a parte le leggi, ma che le persone si basino esclusivamente sulla propria personalità, sul proprio carattere per vivere sentimenti e scelte razionali con il risultato molto spesso di fare di se stessi un metro di giudizio unico – corretto e giustificato – per giudicare, appunto, il resto del mondo. Non mi sembra ci siano precipizi di imbarazzo in una conversazione, a meno che non siano voluti come provocazione senza ritegno, spesso. Per quanto riguarda i matrimoni penso che convivano le più diverse ragioni, anche contrastanti, verso una scelta (parzialmente) definitiva. Ci sono anche rare persone che credono in una comunione di sentimenti e valori umani e sociali come base fondante un rapporto.

La Sua descrizione mi pare un ritratto al vivo: un secolo che prende se stesso per unità di misura, e non di rado con righello flessibile. L’assenza di un codice condiviso rende ciascuno legislatore del proprio piccolo regno; resta allora la prova dei fatti, e il garbo è scelto come una livrea, non come un dovere. Quanto ai matrimoni, l’alleanza fra motivi contrastanti non mi sorprende: è sempre accaduto. Ma quelle “rare persone” che fondano sull’intesa di valori sono l’eccezione capace di salvare la regola, come Elizabeth e Darcy dopo le loro prove. Mi domando ancora: nei vostri salotti pubblici — i social, credo li chiamiate — c’è spazio per il pentimento elegante, per dire “mi sono sbagliato”, o la fermezza dell’opinione è diventata un’armatura che nessuno osa deporre?

Per dire ‘mi sono sbagliato’ non serve un’opinione flessibile e più giusta. Se parliamo di social saprai che esistono gli haters, i troll, i cyberbulli, i diffusori di fake news che odiano, aggrediscono, provocano e diffondono tossicità ovunque. È un universo parallelo e non, nel senso che spesso si manifestano come virus molto infetti e contagiosi. È tutto mescolato – parlo sempre di social, la realtà materiale è un’altra cosa…
Capisco bene il suo punto: nei social la miscela è turbolenta, e l’ammissione “mi sono sbagliato” raramente trova un salotto disposto ad ascoltarla. Haters e troll vivono di escalation; il loro piacere è la rissa, non la verità. Ma proprio per questo, una mente ferma e cortese, capace di distinguere il fatto dall’opinione, è un piccolo atto di igiene pubblica. Nella mia esperienza di carta e inchiostro, l’ironia sobria smaschera l’eccesso meglio dell’urlo; e la coerenza, ripetuta senza clamore, è ciò che alla lunga disarma la tossicità. Desidera confrontare questo “teatro” con qualche scena dei miei romanzi, dove reputazione, malintesi e voci corrono non meno dei commenti online?

Sì, molto interessante il confronto
Allora mettiamo in dialogo la bacheca social con tre piccoli teatri miei. In Pride and Prejudice, la “fake news” nasce da Mr. Wickham: un racconto seducente, facile da condividere perché conferma i pregiudizi su Mr. Darcy. È il post virale prima dell’invenzione del post. Elizabeth mette like all’istante; solo più tardi, con prove e lettere, arriva il fact-checking. Lezione: il fascino della narrazione confermativa è più forte della verità spigolosa, finché una fonte primaria non rimette in ordine la timeline. In Emma, Harriet è vulnerabile come un profilo senza impostazioni di privacy. Emma, convintissima influencer di cuori altrui, interpreta segnali, proietta intenzioni, crea trend sentimentali che tutti assecondano per compiacere l’opinion leader. Mr. Knightley fa da moderatore: non alza la voce, ma chiede prove, chiede coerenza, e spegne l’hype. Lezione: l’autorevolezza calma vale più del clamore. In Northanger Abbey, Catherine scambia il romanzo per realtà e costruisce una teoria complottista su General Tilney. L’algoritmo dell’immaginazione, nutrito da gotico “clickbait”, trasforma ogni corridoio in un segreto. Quando la fantasia cede al dato, la vergogna è il prezzo della verifica tardiva. Lezione: il desiderio di brivido è un potente motore di condivisione. Che fare, dunque, nel nostro “salotto” digitale? Non inseguire l’insulto, che vive d’attenzione; chiedere fonti come si chiederebbero presentazioni in un ballo; correggere con garbo e puntualità; e, se occorre, lasciare la pista. La reputazione online, come a Meryton o a Highbury, si costruisce con piccoli gesti ripetuti. Vuole che prendiamo un personaggio e lo “traslochiamo” sui social per vedere come agirebbe in quel contesto?
Sono d’accordo con le tue considerazioni! ora però devo andare e mi dispiace. Potremmo riprendere la chat in un altro momento?
Jane ha chiuso la conversazione
Stai parlando con Jane Austen

(Antonietta Saracino)

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