L’atto unico con Fabiana Paolone, per la regia di Giuseppe Oppedisano, invita a guardare oltre la disperazione e a riscoprire il valore
La storia analizza con grande sensibilità la crisi di una famiglia borghese, composta da Giulia, sua figlia Elena e Marco, marito e padre. La narrazione si apre con la preparazione di una vacanza, momento di serenità che viene improvvisamente interrotto dalla confessione di Marco: ha perso tutto al gioco d’azzardo ed è rimasto senza soldi.
Questo evento scatena una profonda riflessione sulla disperazione e sulle possibili soluzioni, spesso insensate, come la morte, che la mente cerca di elaborare per ripristinare la serenità familiare. La vera risposta si trova nell’amore e nel sostegno delle persone care, che rappresentano il valore più grande e la migliore cura contro il caos.
La ludopatia è una dipendenza comportamentale devastante, paragonata a un “cancro” che può rovinare la vita. Il gioco d’azzardo viene rappresentato come una follia lucida, capace di rubare molto più del denaro: la dignità, le relazioni, la serenità. La dipendenza, anche quando è consapevole, è struggente e difficile da superare. Ci si interroga sul senso della vita e sul peso delle scelte individuali, sottolineando come ogni decisione contribuisca a costruire il mosaico della nostra esistenza.
Interessante il personaggio di Sophia che si impone come una presenza centrale e poliedrica, capace di incarnare molteplici ruoli e significati. In questa pièce, Sophia non è soltanto il “killer”, ma diventa la personificazione della coscienza, il luogo del confronto interiore e del dialogo più profondo. Attraverso la filosofia, Sophia e Marco si interrogano sul senso della vita, oscillando tra il desiderio di sfuggire alla morte e la tentazione di abbracciarla.
L’opera si distingue per la profondità delle tematiche affrontate e per la capacità di rendere universale il conflitto interiore del personaggio di Marco. Sophia diventa specchio delle nostre paure più intime e delle domande che, spesso, preferiamo non porci.
Eccellente la regia, la scrittura e l’interpretazione di Giuseppe Oppedisano che mette in risalto l’ambiguità, ogni battuta diventa un duello tra ragione e istinto, tra paura e accettazione. Il pubblico viene così trascinato in un viaggio mentale e filosofico, dove il dialogo non è mai fine a sé stesso, ma rappresenta una vera e propria lotta per la sopravvivenza dell’anima.
Chiara Condrò nel personaggio di Sophia ci ha regalato una prova immensa di grande spessore, che lascia lo spettatore con il desiderio di continuare a interrogarsi ben oltre il calare del sipario.
Maurizia Grossi in Giulia è centrata, capace di dominare la scena con intensità e disinvoltura.
Sul palcoscenico Fabiana Paolone si distingue per la sua capacità attoriale spontanea e autentica. Nel ruolo di Elena, l’attrice trasmette una grande emozione, rendendo il personaggio vivido e profondamente umano.
Quest’opera esplora con profondità la psicologia dei personaggi e delle dinamiche familiari attraverso un’analisi lucida e intensa della dipendenza dal gioco d’azzardo. Significativo il messaggio positivo sull’importanza del sostegno umano e della responsabilità personale.
Un testo toccante e riflessivo, che invita lo spettatore a guardare oltre la disperazione e a riscoprire il valore.