Home Attualità Alla domanda: “Mio figlio come va?” la risposta pedagogica: “Sta crescendo”

Alla domanda: “Mio figlio come va?” la risposta pedagogica: “Sta crescendo”

Giuseppe Adernò

Ragazze e ragazzi ci chiedono di essere viste/i, come persone, rispettate nelle loro differenze, riconosciute nella loro unicità, con proposte formative che abbiano un dialogo con le loro vite, in un ambiente sicuro, moderno e attrezzato con gli strumenti che servono ad apprendere.


In linea di continuità con l’articolo che propone di modificare la domanda “
Come vai a scuola?” con la formula “Come stai a scuola?”, dando centralità al “benessere dello studente, si indirizza l’attenzione alla risposta che i docenti dovrebbero saper dare ai genitori che nel corso degli incontri “scuola-famiglia” per le valutazioni trimestrali o quadrimestrali chiedono : “Mio figlio come va?”

La domanda è pensata bene, anche se viene formulata male.  I nostri nonni dicevano:Vai a scola ca t’ansignuno adducazione”. Il termine “educazione”, anche nella colorita espressione dialettale, voleva significare non soltanto il buon comportamento, ma faceva prevedere la crescita, lo sviluppo delle competenze, un reale riscatto sociale in vista della professione da svolgere al termine degli studi.

Se la risposta del docente viene formulata con l’espressione: “Va bene. Ha preso 7 – 8 . Ha fatto un buon compito, una buona interrogazione” oppure “Deve riparare in matematica, deve studiare meglio l’inglese o le scienze,  il messaggio che arriva alla famiglia è un rinforzo dell’idea che la scuola sia soltanto istruzione, contenuti, conoscenze, materie e compiti.

Se la comunicazione è trasmissione di idee e di pensieri,questo è quello che il docente pensa e comunica ai genitori.

La duplice connotazione della scuola, luogo privilegiato di istruzione e di formazione, non si evince nelle risposte dirette date ai genitori.

Dov’è la dimensione formativa e orientativa della scuola se alla mamma dell’alunna brava viene risposto:Per sua figlia tutto ok, non c’è niente da dire, se ne può andare?

Il dialogo educativo scuola-famiglia necessita di una radicale modifica di linguaggio e di comunicazione. La risposta pedagogica che il docente educatore dà ai genitori coinvolgendoli nel percorso formativo dovrebbe riguardare la descrizione del processo di crescita dello studente:Suo figlio sta crescendo, Ha conseguito questi traguardi, ha migliorato questi aspetti del suo carattere, ha bisogno di…..”

Con questa espressionepensata per lui, per lei” si offre ai genitori, i quali hanno formulato male la domanda, pensata bene, il docente manifesta la vera idea di scuola, esplicitandone le finalità formative e qualifica in tal modo la sua professione di  “educatore”, attento alla crescita armonica e integrale dello studente.

Ricordo il grido angosciante di una mamma che, durante un incontro di valutazione intermedia, alla professoressa che cercava il compito di latino da mostrare per indicare gli errori commessi ha risposto urlando: “Non mi interessa il voto del compito di latino, mio figlio si droga, frequenta una brutta compagnia e chiedo a voi aiuto per salvarlo e riportarlo sulla buona strada”

E’ desiderio di ogni genitore il miglior bene per il proprio figlio e non solo la promozione ed il successo scolastico, ma essenzialmente il successo formativo, lo sviluppo delle competenze, in vista della realizzazione del personale progetto di vita e del domani professionale.

La relazione educativa che costituisce una delle connotazioni essenziali della scuola , intesa come “atto intenzionale” offre la garanzia della crescita della persona.

Nella relazione docente-studente, con la risposta alla domanda:Come stai?”  si apre il dialogo e la comunicazione nella prospettiva del futuro ed emergono dubbi, perplessità, bisogni ai quali occorre dare risposta nella “scuola per ciascuno”.

Nell’incontro con i genitori, la relazione educativa si orienta verso la convergente ricerca del vero bene del figlio-studente, e non solo della promozione.

Star bene a scuola, Star bene con se stessi, Star bene con le istituzioni”, slogan del Progetto giovani 93,promosso da Luciano Corradini, che ha dato vita al “Progetto Ragazzi 2000,  dopo trent’anni è ancora vivo e attuale.

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Fra le tante cose che i ricercatori fanno prima di avviare un’inchiesta è quella di chiedere agli studenti: “Qual è la domanda che vorreste vi fosse posta?», e loro da sempre, da molto prima della pandemia, dicono “come stai, davvero?”.

Un articolo su Vita.it, cerca di vedere il rapporto con gli alunni da una angolazione diversa e infatti l’estensore dell’articolo spiega: “L’avevo segnalata ai docenti che conosco, perché è una domanda che non esisteva a scuola, se non nei casi estremi, forse perché si presume che a 15 anni non puoi che star bene di salute, i guai fisici si presentano dopo. E invece…

Il cambio di domanda è decisivo per capire se da adulto chiedo “come va a scuola?” e mi sento rispondere “male” penso ad un brutto voto.

Certamente, il docente pensa di avere davanti non già 28 pazienti  ma 28 studenti da cui occorre guadagnare l’attenzione per insegnare col rischio  che le domande sul benessere diventa l’ennesima materia.

Tuttavia, riporta sempre Vita.it, “a 16 anni si può star male come sempre per un sacco di ragioni, molte passano, ma la scuola ha il dovere di non essere parte di quelle. 

Ragazze e ragazzi ci chiedono di essere viste/i, come persone, rispettate nelle loro differenze, riconosciute nella loro unicità, non messe in competizione le une con le altre, messe a studiare su questioni che abbiano un dialogo con le loro vite, in un ambiente sicuro, moderno e attrezzato con gli strumenti che servono ad apprendere, ecc. E questo vuol dire classi meno numerose e per un docente conoscere chi si ha di fronte, prevedere colloqui individuali e momenti collettivi per sciogliere questioni, assegnare lavori in coppia e a gruppi, lavorare su più linguaggi per scoprire le vocazioni espressive individuali, usare più dialoghi e meno lezioni frontali quando è possibile, metter mano al sistema di valutazione sperimentando ad esempio l’autovalutazione, conoscere le risorse di aiuto specialistiche in caso di problemi, ecc.” 

È però importante pure fare la stessa domanda: “Come stai?” anche ai docenti e lavorare su quella, perché è chiaro che stanno male anche loro. E dopo il benessere siamo pronti per la prossima domanda, che sta terremotando la presenza in classe: “che senso ha stare qui?”.

Se lo stanno chiedendo in molti  e da un po’ di tempo  

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