Roma, 6 mag. (Adnkronos Salute) – “A poco più di un anno dalla rendicontazione finale della Missione Salute del Pnnr l’avanzamento di Case e Ospedali di Comunità procede ancora troppo lentamente e con velocità profondamente diverse tra le Regioni. Ma il problema principale è che, oltre ai ritardi infrastrutturali, il ‘pieno funzionamento’ delle strutture – requisito indispensabile per la rendicontazione finale – è pesantemente ostacolato dalla carenza di personale sanitario, in particolare infermieristico, una vera emergenza nazionale”. A fare il punto è il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, nelle conclusioni del monitoraggio indipendente sull’attuazione della Missione Salute del Pnrr realizzato dall’Osservatorio Gimbe sul Ssn. “Nel caso delle Case della comunità pesa poi anche l’assenza di un reale coinvolgimento dei medici di famiglia, perno insostituibile dell’assistenza territoriale. È dunque indispensabile accelerare in maniera sinergica su più fronti, per scongiurare rischi concreti – avverte Cartabellotta – Il primo, da evitare ad ogni costo, è quello di non raggiungere i target europei e dover restituire il contributo a fondo perduto. Il secondo è di raggiungere il target nazionale, senza però ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali, che rischiano anzi di ampliarsi. Il terzo, il più grave, è ‘portare i soldi a casa’ senza produrre benefici reali per cittadini e pazienti, lasciando in eredità solo scatole vuote e una digitalizzazione incompleta, a fronte di un indebitamento scaricato sulle generazioni future”. “Al 31 marzo 2025 – ricorda il presidente Gimbe – per la Missione Salute del PNRR non era prevista alcuna scadenza europea e l’unica scadenza nazionale è stata rispettata. Tuttavia, al di là del rispetto delle scadenze formali, a poco più di un anno dalla rendicontazione finale, la riforma dell’assistenza territoriale e l’attuazione del Fascicolo Sanitario Elettronico procedono decisamente a rilento, con marcate diseguaglianze tra le Regioni”.Milestone e target nazionali. “Anche se non incidono direttamente sull’erogazione dei fondi del Pnrr – spiega Cartabellotta – questi step intermedi vanno monitorati con attenzione, perché ritardi accumulati oggi potrebbero compromettere il rispetto delle scadenze europee di domani”. Per il periodo 2021-2025 risultano raggiunti tutti i target previsti: in particolare, al 31 marzo è stato raggiunto il target ‘Nuovi pazienti che ricevono assistenza domiciliare (terza parte)’, che prevede un ulteriore incremento dei pazienti over 65 da trattare in assistenza domiciliare, al fine di raggiungere la soglia della presa in carico del 10% della popolazione in quella fascia di età. “Tuttavia – osserva il presidente – persistono grandi disparità regionali, sia nel numero di assistiti a domicilio, sia nella tipologia di servizi offerti”. Infatti, come documentato dal Report Agenas sul monitoraggio del Dm 77 – aggiornato a dicembre 2024 – solo Molise, Provincia Autonoma di Trento, Umbria e Valle D’Aosta garantiscono in tutti i distretti sanitari gli 8 servizi previsti: nelle altre Regioni – si legge nel report Gimbe – le principali carenze riguardano l’assistenza del medico e del pediatra di famiglia, l’assistenza specialistica, i servizi socio-assistenziali e la fornitura di farmaci e dispositivi.Riforma dell’assistenza territoriale. A tre anni dall’adozione del Dm 77, la riforma dell’assistenza territoriale “procede a rilento, con forti diseguaglianze tra le Regioni, in particolare nell’attivazione e nella piena operatività delle Case della Comunità e degli Ospedali di Comunità”, rilancia il report che ha come riferimento i dati elaborati dalla Fondazione Gimbe a partire dal Report Agenas sul monitoraggio del Dm 77, aggiornati al 20 dicembre 2024. “Il potenziamento dell’assistenza territoriale – afferma Cartabellotta – è la chiave per decongestionare ospedali e pronto soccorso e garantire una reale sanità di prossimità. Tuttavia, i dati ufficiali trasmessi dalle Regioni dimostrano che nonostante i fondi già stanziati, il ritmo resta inaccettabilmente lento”.Secondo Gimbe, “al 20 dicembre 2024, su 1.717 Case di comunità previste, per 1.068 (62,2%) le Regioni non hanno dichiarato attivo alcun servizio tra quelli previsti dal Dm 77; per 485 strutture (28,2%) è stato dichiarato attivo almeno un servizio e solo per 164 (9,6%) tutti i servizi obbligatori sono stati dichiarati attivi. Di queste ultime, tuttavia, soltanto 46 (2,7% del totale) risultavano pienamente operative, cioè con presenza sia medica che infermieristica”. “Tenendo conto – precisa Cartabellotta – che tra le Case della Comunità senza servizi attivi rientrano anche quelle non ancora realizzate o in fase di riconversione, resta evidente il forte ritardo accumulato sulla tabella di marcia e, soprattutto, la distanza abissale tra le Regioni”. “Solo quattro Regioni superano il 50% di Case di comunità con almeno un servizio dichiarato attivo: Emilia-Romagna (70,6%), Lombardia (66,7%), Veneto (62,6%) e Marche (55,2%). Sei Regioni si collocano tra il 25% e il 50%: Molise (38,5%), Liguria (33,3%), Piemonte (29,5%), Umbria (27,3%), Toscana (26,9%), Lazio (26,5%). In altre cinque Regioni – prosegue Gimbe – la percentuale varia dallo 0,8% della Puglia al 5% della Sardegna, mentre in sei Regioni non risulta attiva alcuna Case di comunità. Considerando solo che quelle con tutti i servizi dichiarati attivi, la media nazionale si attesta al 6,9% per quelle prive di personale medico e infermieristico e al 2,7% per quelle pienamente funzionanti. Le differenze – osserva Gimbe – tra Regioni dipendono non solo dal completamento delle strutture, ma soprattutto dalla disponibilità di personale. In tutte le Regioni, fatta eccezione per il Molise, la quota di Case di comunità pienamente operative è sempre inferiore rispetto a quelle che hanno attivato tutti i servizi”.Ospedali di comunità. Al 20 dicembre 2024, dei 568 Ospedali di Comunità previsti, solo 124 (21,8%) risultano avere almeno un servizio attivo, per un totale di quasi 2.100 posti letto. In termini assoluti, i numeri più alti si registrano in Veneto (43), Lombardia (25) ed Emilia-Romagna (21). Altre dieci Regioni hanno attivato almeno un Ospedale di comunità: dagli 8 della Puglia a un solo Ospedale di comunità in Campania e Sardegna. Otto Regioni restano invece ancora a quota zero. “A fronte di una media nazionale del 22%, le percentuali regionali variano in modo significativo: il Molise, con soli 2 Ospedali di comunità da realizzare, raggiunge il 100%; all’estremo opposto, otto Regioni non hanno attivato alcun ospedale di comunità, mentre le altre si distribuiscono tra il 2% della Campania e il 61% del Veneto”, analizza Gimbe. “Rispetto alle Case della Comunità – commenta Cartabellotta – lo stato di attuazione degli Ospedali di Comunità appare ancora più indietro: non solo sul piano strutturale, ma anche perché nessuna Regione ha attivato tutti i servizi previsti dal DM 77”. Infatti, per essere pienamente operativi, gli Ospedali di comunità devono garantire presenza medica per almeno 4,5 ore al giorno sei giorni su sette, assistenza infermieristica continuativa (H24 7/7 giorni), la figura del case manager, posti letto per pazienti con demenza o disturbi comportamentali e spazi dedicati alla riabilitazione motoria.Centrali Operative Territoriali (Cot). Le Cot, strutture essenziali per coordinare la presa in carico dei pazienti e integrare l’assistenza sanitaria e sociosanitaria, risultano attivate in tutte le Regioni. Al 31 dicembre 2024, su 650 COT programmate, 642 risultavano pienamente funzionanti, di cui 480 hanno contribuito al raggiungimento del target europeo. “Rispetto alla fotografia scattata da Agenas cinque mesi fa – commenta il presidente – è verosimile ipotizzare che il quadro attuale sia più incoraggiante. Tuttavia, l’attuazione di Case di comunità e Ospedali di comunità procede ancora con una lentezza inaccettabile e a velocità troppo diverse tra le Regioni. E a poco più di un anno dalla scadenza finale del giugno 2026, alcune sono ancora inchiodate al punto di partenza”.Il Fascicolo sanitario elettronico 2.0 rappresenta il pilastro della trasformazione digitale del Ssn: un investimento da 1,38 miliardi di euro che punta a creare un ecosistema digitale in grado di garantire accesso, condivisione e interoperabilità dei dati sanitari su tutto il territorio nazionale. “Tuttavia, secondo la Corte dei Conti, il cronoprogramma ha già subìto ritardi: la milestone sulla piena interoperabilità nazionale, inizialmente prevista per giugno 2024, è stata posticipata a dicembre 2024, mentre la digitalizzazione nativa dei documenti è attesa per giugno 2025”, ricorda il report Gimbe. “Senza la piena operatività del Fse su tutto il territorio nazionale e senza il consenso dei cittadini alla consultazione dei documenti – avverte Cartabellotta – rischiamo di centrare i target solo sulla carta per incassare i fondi, ma di lasciare la digitalizzazione del Ssn incompiuta, frammentata e inefficace”. Completezza del Fse. “Al 30 novembre 2024, secondo i dati elaborati dal portale Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0, nessuna Regione rende disponibili tutte le 16 tipologie di documenti previste dal Dm 7 settembre 2023. Il grado di completezza varia sensibilmente tra le Regioni: si va dal 94% di Lazio, Piemonte e Sardegna al 63% di Marche e Puglia”, conclude il report Gimbe. Completezza del Fse. Al 30 novembre 2024, secondo i dati elaborati dal portale Fascicolo Sanitario Elettronico 2.0, nessuna Regione rende disponibili tutte le 16 tipologie di documenti previste dal Dm 7 settembre 2023. Il grado di completezza varia sensibilmente tra le Regioni: si va dal 94% di Lazio, Piemonte e Sardegna al 63% di Marche e Puglia. “La scarsa adesione da parte dei cittadini – conclude il presidente – soprattutto nelle Regioni del Mezzogiorno, è un segnale preoccupante di sfiducia nella sicurezza dei dati personali e nella reale utilità del Fascicolo sanitario elettronico”.