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Gaza: l’inferno non ha più bombe, ma bambini che muoiono di fame

Francesco Mazzarella

Nel silenzio dell’Occidente e sotto il boato della propaganda, non ci sono più ospedali, né pane. Solo piccoli corpi senza vita. E la morte, oggi, ha il volto della fame.

di Francesco Mazzarella

L’orrore di Gaza oggi non esplode più: si spegne. Non si vede, si consuma. È il silenzio della fame, quello che uccide lentamente, senza un boato, senza immagini spettacolari, ma con la stessa, precisa, disumana crudeltà.Nel maggio 2025 la Striscia è diventata un campo di sterminio a cielo aperto. Oltre 35.000 morti, più di 14.000 bambini. Ma sono i dati invisibili quelli che fanno più male: centinaia di piccoli morti di fame. Morti con gli occhi spalancati e lo stomaco vuoto, senza un graffio, senza sangue, senza un colpo di mortaio. Solo pelle e ossa. Solo silenzio.La fame non è un effetto collaterale della guerra. È una strategia. I convogli umanitari vengono bloccati. I camion dell’UNRWA aspettano ai valichi, inutilmente. Il pane è finito. I forni non funzionano per mancanza di carburante. L’acqua non è potabile. Le madri cercano di allattare i figli con un corpo che non ha più latte. I neonati muoiono per disidratazione e denutrizione. È tutto calcolato.È diventata un’arma più potente delle bombe. Uccide di più, uccide meglio, uccide senza lasciare segni nei cieli. E l’Occidente guarda altrove. Si parla di “diritto alla difesa”, si evocano “rischi per la sicurezza”, ma nessuno parla di questo: della bambina di 8 mesi morta a Khan Yunis perché nessun ospedale aveva più una sacca di glucosio. Del ragazzino di 12 anni che pesava 15 chili. Della madre che ha seppellito tre figli sotto una tenda.Le infrastrutture sanitarie sono collassate. Su 36 ospedali, solo 12 sono ancora parzialmente operativi. I medici, quando ci sono, devono decidere chi far morire per salvare qualcun altro. L’elettricità è un ricordo. Le incubatrici sono spente. I bambini prematuri muoiono uno dopo l’altro. Le immagini che arrivano sono insostenibili: corpicini inerti, senza lacrime, senza respiro, avvolti in stracci come scarti dell’umanità.Non è più una guerra. È qualcosa di peggio. È la negazione della vita. È un genocidio per fame. Programmato, organizzato, portato avanti con la complicità del mondo che dice di voler “mediare”. Ma mediare cosa? La sopravvivenza dei bambini?

Le ONG denunciano ogni giorno quello che l’informazione generalista ignora. Save the Children, Action Against Hunger, MSF, il World Food Programme: tutti gridano la stessa verità. A Gaza si muore di fame. Non domani. Oggi. Ora. Ogni minuto.E mentre questo accade, i talk show discutono di geopolitica. I governi rilasciano dichiarazioni “equilibrate”. Le opinioni pubbliche si polarizzano. E i bambini muoiono.Nel campo di Rafah, dove sono ammassati più di un milione e quattrocentomila profughi, l’odore non è più quello della guerra. È quello della decomposizione. Della disperazione. Del pane che non c’è. I bambini raccolgono foglie e bucce di agrumi dalla spazzatura. Le madri cucinano con acqua salmastra. Non c’è cibo, non c’è futuro, non c’è pietà.Una dottoressa palestinese, in una lettera scritta a mano, ha raccontato di aver ricevuto due neonati denutriti. Aveva una sola dose di integratore nutrizionale. Ha dovuto scegliere a chi darla. Uno è sopravvissuto. L’altro no. “Non mi perdonerò mai”, ha scritto. Come se fosse colpa sua. Non lo è. Ma lo è di chi ha creato le condizioni perché accadesse.

Chi ha tolto il pane a un bambino è più colpevole di chi ha lanciato un razzo. E chi ha voltato lo sguardo, chi ha fatto finta di non vedere, chi ha detto “è complicato”, chi ha scelto il silenzio per paura o convenienza, è complice.Gaza non è più una crisi. È una vergogna planetaria. Una voragine morale. Un punto di non ritorno per l’umanità. Perché non si può uccidere un popolo togliendogli l’acqua, il cibo, le medicine, e poi lavarsene le mani parlando di “difesa”.Ci sono bambini che oggi muoiono per mancanza di riso. Di latte. Di zucchero. Di dignità. E ognuno di noi, nel suo benessere protetto, davanti a uno schermo, deve sapere che non è fuori da questa storia. Perché il mondo che permette tutto questo è anche il nostroE se non lo cambiamo, se non diciamo basta, se non usiamo la nostra voce, il nostro voto, la nostra penna, il nostro denaro, la nostra umanità, allora siamo anche noi parte di questo sterminio.

E come disse Fabrizio De André: “Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti.”

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