Home Parliamo diVino 🍷 Una nobile tenzone, un grande Classico. L’ingegno che ci contraddistingue

Una nobile tenzone, un grande Classico. L’ingegno che ci contraddistingue

Francesca Ripoldi

Il Gallo Nero, emblema della toscanità, presente su quasi tutti i souvenir del luogo, vanta una storia curiosa, oltre a rappresentare il primo consorzio vinicolo fondato in Italia (1924). La storia del Gallo Nero, tuttavia, ha origini ben più antiche; leggenda narra che, nel Medioevo, Siena e Firenze volessero mettere fine all’eterna contesa per la definizione dei loro confini. Come? Beh, con una sfida tra gentiluomini, ovviamente. Allo scoccare del canto del gallo, i cavalieri delle opposte fazioni avrebbero dovuto mettersi in marcia e, proprio lì, nell’esatto punto in cui si fossero incontrati, sarebbe stato tracciato il nuovo confine del territorio. La logica sembrava suggerire che l’incontro sarebbe dovuto avvenire a metà strada, viste le ipotesi in campo; i fiorentini, invece, decisero di forzare la mano, utilizzando un gallo di colore nero, tenuto – sembrerebbe – a digiuno da qualche ora, regalandosi così un enorme vantaggio competitivo. Infatti, poiché molto affamato, il Gallo Nero finì per cantare molto prima di quello senese. Ed è così che, a partire da allora, la terra del Chianti Classico giunge fino a Castellina, a pochi chilometri da Siena. Il Gallo Nero, diventato poi simbolo anche della Lega del Chianti, è rimasto indissolubilmente legato al territorio e, ad oggi, la terra del Chianti Classico comprende i comuni di Castellina, Gaiole, Greve e Radda in Chianti e, parzialmente, quelli di Barberino Tavernelle, Castelnuovo Berardenga, Poggibonsi e San Casciano in Val di Pesa.
Eccoci dunque nel Chianti Classico a Montefioralle, comune di Greve in Chianti (FI); Andrea, classe 1992, è il protagonista

dell’azienda agricola Le Palaie. Dedica anima e corpo all’azienda vinicola, fondata dal nonno nel 1993. Qui, tutto è in famiglia, sembra quasi un racconto d’altri tempi, un Edmund de Amicis le cui parole si scrivono su uno sfondo giallo ocra intervallato da cipressi e silenzi.
Andrea lavora gomito a gomito con il padre e confessa orgoglioso che la vendemmia, fatta rigorosamente a mano, è frutto solo delle loro energie, nessun aiuto esterno, tre ettari e mezzo di vigne che ascoltano il tocco di sole quattro mani. La vendemmia inizia attorno al 20 settembre con il merlot, continua gli ultimi giorni del mese con il sangiovese e termina durante i primi di ottobre con il cabernet.
Il nonno di Andrea, in paese, se lo ricordano anche per la sua generosità; parlando con un ristoratore locale ho scoperto che, al termine della raccolta delle olive, il fondatore delle Palaie era solito organizzare una grigliata con tutti coloro che ne avevano preso parte, una festa insomma, per omaggiare tutti per le fatiche sostenute. Forse, proprio sulla scia di questa tradizione, per i quarant’anni di attività, Andrea ha voluto organizzare una grande festa alle Palaie, invitando tutti i clienti e gli amici, un traguardo importante, da festeggiare a “casa”, in ossequio alla tradizione in cui è cresciuto.

Tra i progetti futuri di Andrea, inoltre, c’è la costruzione di una nuova cantina della dimensione di 150 metri quadri, arredata con botti in ceramica pensate appositamente per esaltare il gusto del suo vino e distinguersi dalle altre aziende così come, d’altronde, ha già fatto nella scelta della ricetta del suo Chianti Classico ove i vitigni internazionali si mescolano al sangiovese. Tra i suoi desideri, c’è anche un progetto segreto dal colore rosé, che gli fa brillare gli occhi, perciò non ho nessuna intenzione di dare alcuna anticipazione, anche se confesso che mi piacerebbe assaporarlo nel bicchiere, prima o poi.
La produzione delle Palaie si attesta sulle dodicimila bottiglie, sebbene la messa a dimora di tre nuove vigne, prometta di elevarla raggiungendo un totale di circa sedicimila.
La degustazione è stata una vera e propria esperienza enogastronomica completa; i vini di Andrea, sono stati accompagnati da un ricco buffet della tradizione a km0, in alcuni casi, si può dire che la distanza fosse quantificabile forse in pochi metri. Ad accompagnare il Chianti Classico del 2022, crostini di pane toscano, avvolti in una crema di peperoni – letteralmente strepitosa – preparata dalla mamma di Andrea, alternati da pane sfumato con l’olio prodotto dagli ulivi che circondano la vigna.
Qui abbiamo un vino composto per il 90% da sangiovese grosso e, per la restante parte, merlot e cabernet equamente suddivisi; per le caratteristiche dell’annata, si è scelto per le singole uve l’affinamento in tonneau, e, successivamente, la sola sangiovese è stata ripassata anche in acciaio per un periodo di nove mesi; il blend nasce durante l’ultima fase, prima che il vino venga passato in bottiglia. Il risultato è comunque un vino con un tannino molto forte, motivo per cui si sposa molto bene anche con il salame toscano della nonna e, perché no, pure con la sbriciolona che è molto pastosa al gusto.
Nel Chianti Classico del 2023 il sangiovese grosso cede in parte il passo a merlot e cabernet, il barrique si sostituisce al tonneau e il riposo in acciaio del sangiovese passa da nove a diciotto mesi; Il vino si arrotonda rispetto al precedente, e si sposa in maniera signorile con il pecorino e la marmellata di arance. Si chiude con un vino ribelle, un Super Tuscan del 2022, 50% merlot e 50% cabernet, accompagnato da un semifreddo al pistacchio fatto dalla compagna di Andrea, pasticcera appassionata e sempre alla ricerca di qualche nuova ricetta. L’etichetta, in onore del nonno, riporta stilizzato il profilo del suo viso e la sua firma.

Tra i tavoli si aggira anche la quarta generazione che da poco ha smesso di gattonare, completando quella sensazione diidillio familiare da borgo d’altri tempi. La bellezza del vino è anche il contesto: in questo caso, una gustosa festa familiare, riecheggiando in un giorno estivo, ha riportato alla luce qualcosa di felice, un ricordo d’infanzia ormai sbiadito ma ancora capace di suscitare l’emozione di un tempo che sembrava perduto.

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