Home Attualità Da sito di lancio a comune privato: nasce Starbase, la città di Elon Musk in Texas

Da sito di lancio a comune privato: nasce Starbase, la città di Elon Musk in Texas

Valentina Chabert

Con 212 voti a favore e solo 6 contrari, lo scorso 3 maggio gli abitanti di Boca Chica Village, nel Texas meridionale, hanno dato il via libera alla creazione di Starbase, la città indipendente che ospita i dipendenti dell’azienda Space X di proprietà del gigacapitalista Elon Musk.

Valentina Chabert

Starbase, Texas, is now a real city!”. Sono queste le parole di entusiasmo postate su X dal miliardario Elon Musk poco dopo il referendum che ha trasformato Boca Chica Village in Starbase. Il piccolo centro, situato in Texas al confine con il Messico e abitato principalmente da dipendenti dell’azienda Space X, funge da anni da sito di lancio della compagnia aerospaziale di proprietà di Musk.

Per via della sua latitudine, della vicinanza all’oceano e della posizione distaccata da zone più densamente abitate, l’area è divenuta lo snodo strategico fondamentale per i lanci dei satelliti della costellazione Starlink, nonché per i numerosi test di Starship – il razzo che funge da navicella spaziale riutilizzabile con cui Musk da anni offre un passaggio gli astronauti della NASA verso la Stazione Spaziale Internazionale.

Benché la formale richiesta di far rientrare Boca Chica City tra le proprietà di Elon Musk connesse alla base di lancio sia stata avanzata solo nel dicembre 2024, una “privatizzazione” della città era già nell’aria dal 2021. Da lì l’idea di un referendum cittadino, approvato con 212 voti dalla maggioranza degli abitanti, che ha sancito la nascita di Starbase come entità autonoma nel territorio della contea di Cameron e la sua incorporazione de facto fra i territori controllati dal gigacapitalista stellare.

Obiettivo primario: agevolare la logistica, ridurre la burocrazia e snellire l’iter normativo sul quale si regge il funzionamento di Space X, grazie ad un controllo diretto sull’urbanistica, sulla sicurezza e sulle infrastrutture.

Dei 500 abitanti di Starbase se ne occuperà pertanto un’amministrazione cittadinacomposta da un sindaco e da due commissari, che avranno poteri su pianificazione, tassazione e su tutte le ulteriori questioni locali che potranno emergere. Nonostante le polemiche relative ad eventuali danni all’ambiente e l’opposizione di alcuni residenti, sarà la stessa amministrazione municipale a regolare l’accesso alle spiagge e all’autostrada adiacente durante i lanci, a limitare l’accesso agli spazi pubblici e soprattutto a gestire imposte e licenze edilizie, attualmente al centro di un acceso dibattito a livello locale.

Di fatto, a stimolare la curiosità e al contempo la preoccupazione dei residenti sono le speculazioni sulle future sembianze di Starbase, attualmente un agglomerato di caravan Airstream e prefabbricati che fungono da abitazioni dei dipendenti di Space X. Sarà solo questione di tempo prima che l’area assuma le sembianze di una vera e propria città privata nelle mani di una società commerciale statunitense, sul modello delle città aziendali sorte in seguito alle rivoluzioni industriali che ospitavano i lavoratori nei pressi delle neonate fabbriche.

La concretizzazione del progetto Starbase apre tuttavia a riflessioni più ampie sul ruolo delle aziende private che operano nell’ambito spaziale all’interno del panorama politico statunitense, soprattutto alla luce della vicinanza di Space X all’Amministrazione Trump. In effetti, che si stia assistendo ad un progressivo avvento di società private di grande, media e addirittura micro-dimensione nell’ambito spaziale è un fatto oramai assodato. Più labile risulta invece afferrare quelli che saranno gli impatti di natura geopolitica, giuridica, economica e industriale di una rivoluzione che – a causa della progressiva erosione del monopolio statale nella filiera industriale spaziale – si muove verso una rapida privatizzazione della governance globale.

Non è un caso che personaggi come Elon Musk, Jeff Bezos, Richard Branson, Sergey Brin e molti altri abbiano trovato terreno fertile negli Stati Uniti per far decollare le proprie imprese private nel campo dell’esplorazione spaziale. Sono gli USA il fulcro di una nuova forma di innovazione spaziale “dal basso verso l’alto”, incentrata sull’innovazione e guidata dal commercio, che promette sviluppi tecnologici più economici e tempestivi.

Infatti, gli Stati Uniti possono sfruttare due vantaggi duraturi: primo, la presenza di un settore spaziale commerciale improntato sull’imprenditoria; secondo, la capacità di formare coalizioni con i propri alleati spaziali. Due dinamiche degne di nota, se si considera che un’innovazione efficace a trazione commerciale ha tutte le potenzialità di configurarsi come il principale motore della futura trasformazione del settore spaziale e, di conseguenza, degli equilibri di potere nell’extra-atmosfera.

Molto è dovuto anche all’ambiente economico stesso degli USA: capitale di rischio, imprenditori dinamici, innovatori scientifici e un’infrastruttura politica e giuridica di supporto si fondono in favore di una serie di nuove tecnologie sul mercato spaziale. Condizioni che, analogamente, sono ben lontane dall’essere presenti in Russia e, parzialmente, in Cina, con vantaggi notevoli per gli Stati Uniti.

Emerge dunque un modello di organizzazione spaziale strutturato secondo partenariati pubblico-privati che si è dimostrato incubatore per l’inclusione di nuovi attori privati divenuti protagonisti della catena del valore della cosiddetta “newspace economy, la nuova economia dello spazio. Ne sono esempio le capacità di aziende come Space X di progettare velivoli di lancio riducendo notevolmente i tempi e i costi di produzione, significativamente più performanti rispetto alle tradizionali infrastrutture di cui dispongono gli Stati, riutilizzabili e in grado di rendere lo spazio più economico e soprattutto accessibile.

Al punto che il coinvolgimento di attori privati è divenuto ormai prassi – per ora limitatamente ad alcuni programmi – da parte delle agenzie spaziali delle principali potenze globali, a cui è così permesso di concentrare risorse pubbliche su quelle aree che richiedono maggiori investimenti in tecnologie da impiegare in un prossimo futuro.

La combo Elon-Donald affermatasi in campagna elettorale lo scorso anno e poi consolidatasi con l’insediamento alla Casa Bianca nel gennaio 2025 promette di cavalcare l’onda di queste tendenze. Come dimostra il progetto di Starbase, sembra esserci una particolare affezione per l’allentamento del sistema normativo e regolatorio, ritenuto responsabile di un pericoloso rallentamento degli USA nel settore spaziale.

Poco importa il fatto che gli Stati Uniti non possano ritenersi un Paese dalla normativa sfavorevole per i privati che, come Musk, intendono intraprendere avventure spaziali alla ricerca di risorse e minerali in contesti extra-planetari. Il tutto in un contesto in cui la mancanza di standard internazionali chiari e ampiamente accettati ha portato le singole nazioni a prendere l’iniziativa, redigendo e successivamente promulgando legislazioni nazionali che regolano le attività di sfruttamento delle risorse da parte di società private nello spazio.

Ad ulteriore riprova della possibile influenza di privati come Musk su questioni di politica interna, il futuro della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) offre interessanti prospettive. Dopo un ventennio di attività, la ISS verrà mandata in pensione nel 2030, e secondo i piani della NASA il rientro in un’area del Pacifico meridionale sopra il cosiddetto Point Nemo dovrà avvenire tramite un particolare e complesso rimorchiatore spaziale che la condurrà a frantumarsi in un punto preciso, distante più di 1500 miglia dalle terre emerse più vicine.

Nel mese di giugno 2024 la realizzazione del rimorchiatore è stata assegnata con un contratto di 850 milioni di dollari proprio alla Space X di Musk. Un fatto interpretato dalla maggior parte degli esperti del settore come “l’evento che chiude il cerchio della definitiva privatizzazione dello spazio”.

Ma non si tratta dell’unico indizio relativo ad un crescente monopolio spaziale dei privati negli Stati Uniti. Nel mese di dicembre 2024, il Presidente Trump ha annunciato la nomina di Jared Isaacman alla guida della NASA, al posto dell’ex astronauta e democratico Bill Nelson. Una scelta avvenuta con ogni probabilità dietro consiglio di Musk, per via dei rapporti che lo legano a Isaacman in quanto finanziatore di Space X e utilizzatore di almeno due voli a pagamento a bordo dell’astronave Dragon.

Un fatto ancor più notevole se si pensa che il governo americano si affida a Space X per trasportare gli astronauti sulla ISS, per la connessione satellitare delle Forze Armate e per la futura realizzazione di un lander lunare. Il tutto per una cifra di 15 miliardi di dollari in 10 anni, con prospettive tangibili di un aumento di tale tendenza verso l’inclusione diretta di un soggetto privato all’interno della governance spaziale statunitense.

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