Mercoledì 11 giugno fino al 3 ottobre 2025. Istituto Italiano di Cultura a Parigi. Il legame indissolubile tra il pittore Fausto e la capitale francese. Non solo arte. “Tutta l’intera esperienza è nella condizione umana”: così Fausto Pirandello, anticipatore delle più profonde tensioni introspettive della pittura del Novecento, rispondeva a un questionario del MoMA nel 1963. Sullo sfondo il padre di Fausto, il Premio Nobel per la Letteratura Luigi Pirandello
Intervista di Maria Sole Stancampiano
Roma, 7 giugno 2025 – “Per me è una grande emozione. Quasi un esame”. È commossa Giovanna Carlino Pirandello, moglie di Pierluigi Pirandello e presidente della fondazione intitolata al suocero, il pittore Fausto Pirandello, alla vigilia della partenza per Parigi dove inaugurerà la retrospettiva intitolata a “Fausto Pirandello. La pittura e la condizione umana” presso l’Istituto italiano di cultura in rue de Varenne 50. La mostra, nel cinquantesimo anniversario della morte di Fausto Pirandello (Roma 1899 -1975) sarà aperta da mercoledì 11 giugno fino al 3 ottobre.
“È la prima esposizione su Fausto Pirandello dopo la morte di mio marito Pierluigi nel 2018. Per giunta all’estero. Mi sembra di giocare fuori casa.

Mi manca tantissimo Pierluigi. Lui ha sempre desiderato rendere omaggio a suo padre proprio a Parigi”. Quasi sussurra la signora Giovanna ricordando il legame indissolubile tra il pittore Fausto e la capitale francese. Non solo arte. A Parigi nacque il 5 agosto 1928 suo marito Pierluigi, figlio primogenito di Fausto e della moglie Pompilia, la modella che aveva conosciuto ad Anticoli Corrado, “il paese dei pittori” alle porte di Roma, così in voga tra gli artisti agli inizi del Novecento. “Per questa ragione mio marito volle donare al Centro Pompidou di Parigi l’opera Interno di mattina del 1931, una complessa allegoria pittorica legata proprio alla sua nascita”.
Fu “un’entrata burrascosa nel mondo” quella di Pierluigi, ricorda Giovanna, specificando che sono le stesse parole usate dal marito. Perché il nonno Luigi, premio Nobel per la letteratura nel 1934, non seppe della nascita del nipote per due anni. D’altra parte neppure sapeva del matrimonio del figlio Fausto con Pompilia D’Aprile. Del trasferimento a Parigi sapeva. Lo aveva approvato e finanziato. “Sappi approfittare della libertà d’arte e di vita che ti ho donato”, scriveva all’ultimogenito Fausto. Voleva che il figlio completasse la formazione artistica iniziata a Roma nella città più cosmopolita dell’epoca, frequentata dai maggiori artisti dell’epoca: Picasso, Braque, Cézanne, Derain. Fausto venne in contatto con questo ambiente, in particolare con i cosiddetti Italiens de Paris, Capogrossi, Campigli, de Chirico, Tozzi e de Pisis.
Quando Luigi Pirandello nel 1930 seppe di avere un nipote, trasecolò. Ma mitigo’ l’amarezza intenerito dal nipote: “che questo bambino così bello, che ride così sano, non sia anche lui un infelice”, scrisse a Fausto.
C’è tutto il peso della “condizione umana” in questa affermazione. La coscienza di chi sapeva che nella vita si incontrano tante maschere e pochi volti. C’è la stirpe dei Pirandello. Non è un caso che l’estremo lascito di Fausto Pirandello sul letto di morte, poche parole vergate con grafia incerta e dirette ai figli Pierluigi e Antonio, siano un’ultima, solitaria testimonianza sulla vacuità della vita, sull’inutilità delle vanità che l’attraversano. “In un mare di morte, la vita è come quel po’ di spuma effimera che producono le onde”.
Non è un caso che la retrospettiva a Parigi sia intitolata, appunto, alla condizione umana. Un ritorno che si svolge attraverso oltre sessanta opere tra dipinti e lavori su carta. La mostra, curata da Manuel Carrera, storico dell’arte e direttore della Fondazione Fausto Pirandello, tratteggia il profilo di un artista prolifico e originale, capace con la sua ricerca solitaria e introspettiva di anticipare alcune delle più profonde tensioni della pittura del Novecento, da Lucian Freud ai figurativi contemporanei.
Il percorso della mostra si snoda attraverso cinque sezioni tematiche che guidano il visitatore all’interno di un universo pittorico, complesso e coerente.
Il rapporto con Luigi Pirandello

La mostra si apre con una sezione dedicata al complesso e affascinante legame tra Fausto Pirandello e il padre Luigi, lo scrittore premio Nobel nel 1934. Nell’estate del ‘36, i due si ritrovarono ad Anticoli Corrado, il borgo-rifugio degli artisti vicino a Roma.

Anche Luigi si dilettava a dipingere. La convivenza tra il patriarca Luigi e Fausto segnò un momento di dialogo ma anche di differenziazione artistica e identitaria.
Gli autoritratti
La seconda sezione propone una selezione di autoritratti, genere nel quale Pirandello si cimenta per tutta la vita, a riprova della centralità dello sguardo su di sé nella sua ricerca artistica.

Già a partire dal 1921, l’autoritratto si configura non come esercizio accademico, ma come specchio dell’anima. Negli anni della guerra, ritratti veloci e introspettivi raccontano un’esistenza inquieta, mentre nel dopoguerra il volto dell’artista si fa via via più scomposto e allusivo. L’autoritratto è per Pirandello un esercizio di consapevolezza, un’esplorazione del tempo e della memoria attraverso la pittura.
Fausto Pirandello e Parigi
Il percorso della mostra prosegue con un focus sul soggiorno parigino di Fausto Pirandello assieme alla moglie. L’artista visse prima in rue Labrouste, poi nel XIV arrondissement in rue Bardinet. Fu un periodo di intensa scoperta e confronto con la modernità. Colpito dal Picasso neoclassico, sviluppò una pittura monumentale, fatta di nudi e nature morte intrisi di luce mediterranea.

La sua personale alla Galerie Vildrac nel 1929 suscitò reazioni contrastanti, ma segnò un’apertura verso il contesto europeo. La città fu per Pirandello anche il luogo di una profonda emancipazione esistenziale e artistica.
L’indagine sulla “condizione umana”
“Tutta l’intera esperienza è nella condizione umana”: così Fausto Pirandello rispondeva a un questionario del MoMA nel 1963. Un principio guida che attraversa l’intera opera. Nei nudi e nelle scene d’interno, spesso ambientate tra le mura domestiche o in luoghi marginali, Pirandello riversa tensioni interiori e inquietudine. Il corpo – soprattutto quello femminile – diventa il campo privilegiato di questa indagine, rappresentato senza idealizzazione, con un linguaggio materico e crudo. Dopo il ritorno da Parigi, i suoi corpi assumono qualità scultoree. Tra gli anni Trenta e Quaranta, il tono terroso domina la sua tavolozza. Anche quando la sua pittura si avvicina all’astrazione, resta saldo il legame con l’introspezione e l’umano.
Forma e materia: la ricerca di un linguaggio
Verso la metà degli anni Quaranta, la figurazione di Pirandello subisce una svolta decisiva. Abbandonato l’espressionismo più acceso, l’artista avvia una fase di sperimentazione che lo conduce verso una progressiva scomposizione cubista e, infine, verso una personale astrazione. Questo percorso emerge chiaramente dal confronto tra opere simili per soggetto ma differenti per resa formale, con cui si chiude la mostra. Dalla rappresentazione analitica degli esordi alla dissoluzione della forma degli anni Sessanta, si delinea un filo conduttore basato sull’introspezione e sull’uso di una pittura densa, a impasto. Una sottile dimensione onirica attraversa tutta la sua produzione, conferendole una coerenza profonda e persistente.
