Tra le critiche più frequenti al sistema scolastico italiano c’è quella che punta il dito contro programmi ritenuti superati e, quindi, non più adeguati alle esigenze del presente. A fotografare la situazione è uno studio dell’Eurispes, che ripercorre i cambiamenti storici e culturali che hanno interessato la scuola nel corso del tempo, soffermandosi in particolare sull’evoluzione di alcune delle principali discipline insegnate nei diversi ordini e gradi dell’istruzione nazionale.
Sono tanti gli atti legislativi che in Italia hanno avuto per oggetto la scuola. Per comprendere la direzione e la natura degli sviluppi più recenti che hanno disegnato l’attuale fisionomia del mondo dell’istruzione, un documento imprescindibile è il Dpr 89 del 15 marzo 2010 con il quale veniva esplicitato un principio diventato prassi ordinaria per chi, soprattutto nel ruolo di docente e valutatore, opera nella scuola. Secondo tale principio il processo di apprendimento deve condurre a risultati che vanno valutati in termini di conoscenze, abilità e competenze. Detto diversamente, il profitto dello studente non si dovrebbe più ridurre a un numero o a una sigla con cui misurare il “peso”, la “quantità” delle nozioni acquisite. Più del “quanto” e, a volte, anche del “che cosa”, viene maggiormente a contare il “come” e il potenziale utilizzo che può e deve essere fatto dei contenuti disciplinari. Le conoscenze non vengono bandite, ma – questo è il messaggio – avrebbero meno valore se non si convertissero in abilità e competenze. Sulla scia di questo non irrilevante cambiamento, viene da chiedersi che cosa ne è stato dei vecchi programmi scolastici, partendo magari dalla domanda – cosa che è stata fatta nello studio qui proposto – sulla loro attualità. Una delle critiche più frequentemente rivolte alla scuola italiana, anche da parte di chi non può dirsi proprio esperto di questioni scolastiche, riguarda, infatti, la presunta vetustà dei programmi, da cui verrebbe a dipendere poi la loro inadeguatezza.
Su questo aspetto si interroga la ricerca che l’Eurispes ha voluto dedicare al ruolo e all’importanza che i programmi scolastici hanno, e, come si scoprirà, continuano ad avere, nel sistema dell’istruzione nostrano. In questo senso, uno studio è stato realizzato sotto l’egida del Laboratorio sulle Politiche educative dell’Eurispes e coordinato da Giuseppe Pulina, docente, filosofo, giornalista e componente del Comitato Scientifico dell’Eurispes. L’analisi dei programmi scolastici si inserisce nell’iniziativa particolare dell’Istituto che ha voluto dedicare il 2025 alla Scuola, alla formazione e ai temi dell’educazione. Se le premesse iniziali della ricerca coinvolgono senza distinzione le tante discipline che caratterizzano i differenti curricoli, non si può tuttavia dire che i programmi di tutte le discipline abbiano seguito lo stesso percorso. Ci sono discipline che si sono rivelate più ricettive nei confronti di novità e sollecitazioni esterne, mostrando una trasversalità non poco feconda; altre hanno invece subìto il condizionamento di contesti – politici, culturali e sociali – mutevoli; altre ancora (la storia, ad esempio) sono state spesso chiamate in causa per rendere conto delle loro “intenzioni”, come se di queste dovesse rispondere la disciplina e non il suo “interprete”. Vero è però che – e a dimostrarlo ancora una volta sarà la storia – sul destino di determinate discipline pesa la “cornice di pensiero” dentro la quale vengono prese decisioni che ne orientano profondamente l’insegnamento. Il fatto che a insegnare storia siano ancora oggi soprattutto i docenti di filosofia è, ad esempio, circostanza non irrilevante, oltre che piuttosto dibattuta.
Può accadere che dei programmi si dicano talvolta scontenti anche i ministri. A più riprese il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha recentemente richiamato l’attenzione sulla necessità di reintrodurre materie non più presenti (il latino, ad esempio, nella secondaria di primo grado) o di aggiornarne altre, intervenendo sui programmi (guarda caso, la storia). Politici e professionisti dell’istruzione di tempi diversi hanno sempre visto nella scuola lo specchio più o meno fedele di cambiamenti o persistenze più o meno accettabili. Vale a dire che i programmi scolastici non sono mai l’esito di scelte puramente casuali e che queste possono essere ricondotte all’impianto ideologico in cui sono maturate ed emerse. Come si chiarisce nello studio, per “impianto ideologico” s’intende nient’altro che «il contesto – di idee, tendenze e processi di pensiero – che ha promosso l’elaborazione dei programmi sui quali per tanti anni si è concentrata l’attività didattica di generazioni di insegnanti». Se alla base di un programma scolastico non ci fosse un fondamento pedagogico, non si sbaglierebbe a dubitare della sua reale efficacia. Per questo motivo, lo studio realizzato dall’Eurispes, dopo una breve disamina dei principali snodi politici e normativi che hanno segnato la storia della scuola italiana, ricostruisce i diversi contesti ideali che si sono succeduti in tempi diversi, per poi entrare, in modo analitico e attraverso una visione d’insieme, nel merito del percorso seguito da alcune delle discipline maggiormente presenti nelle scuole di diverso ordine e grado del sistema nazionale.
lo studio in versione integrale è scaricabile cliccando qui