Varosha per i greco-ciprioti, Maraş per gli abitanti di etnia turca, è diventata il simbolo della guerra tra i due popoli sull’isola di Cipro. Ex quartiere turistico e area di vacanza per eccellenza degli anni Settanta, oggi è un vero e proprio quartiere fantasma fuori dalle mura della città di Famagosta. Allo stato di abbandono e fatiscenza si aggiunge una disputa tra le due etnie, a cui le Nazioni Unite cercano una soluzione.
Di Valentina Chabert
All’ingresso del quartiere di Maraş (Varosha secondo la nomenclatura greca), qualche militare e un poliziotto controllano i passaporti all’interno di un fatiscente gabbiotto ingiallito dalle intemperie.
Qualche metro più avanti, un chiosco noleggia biciclette, monopattini e addirittura piccoli golf cart per i turisti che hanno oltrepassato il checkpoint e si sono avventurati fino a Famagosta, città simbolo degli scontri tra greci e turchi del 1974.
Varosha non è altro che un cumulo di edifici in piena decadenza su cui la natura sta prendendo il sopravvento. Finestre rotte, insegne arrugginite, palazzi ancora in costruzione e negozi dalle pareti crollate contribuiscono all’atmosfera spettrale – se non post-apocalittica – del luogo. Avvolti da un silenzio quasi innaturale, interrotto dal passaggio di qualche gatto randagio in cerca di un po’ di cibo, si scorgono i resort di nuova costruzione negli anni Settanta che facevano di Famagosta una meta turistica d’eccellenza all’epoca della guerra fredda.
Poi l’invasione turca dell’estate 1974, seguita a plurime violazioni dell’accordo tripartito tra Grecia, Gran Bretagna – potenza coloniale che di Cipro aveva fatto la sua “antenna del Levante nel Mediterraneo” – e Turchia, le cosiddette “potenze garanti”, e alla presa di potere del regime dei colonnelli ad Atene, intenzionati a far tramontare il piano di unione dell’isola con la Grecia dell’Arcivescovo e Presidente di Cipro Makarios.
Dopo due tentativi di conquista nel luglio e agosto 1974, l’esercito turco ha conquistato Famagosta, penetrando le mura veneziane che per un anno hanno resistito all’assedio dell’Impero ottomano. Fu così che gli abitanti di etnia greca di Varosha svuotarono il quartiere per il timore di rappresaglie da parte della Turchia, dirigendosi verso Paralimni, Dherynia e Larnaca.
A differenza delle immagini di distruzione a cui ci siamo assuefatti, tipiche della comunicazione in tempo di guerra, Varosha non è stata né oggetto di bombardamenti, né di saccheggi o massacri. La distruzione del quartiere è imputabile solo all’abbandono e al tempo, che sempre più nasconde la vitalità e l’atmosfera vacanziera che ha permeato i primi anni Settanta.
Una risoluzione delle Nazioni Unite del 1984che invitava la dirigenza turca a cedere la città di Famagosta al controllo dei caschi blu – stabilitosi sull’isola dagli anni Sessanta per prevenire un conflitto tra greci e turchi – e a favorire il ritorno degli abitanti originari di etnia greca, non ha avuto alcun seguito.
Vent’anni dopo, i greco-ciprioti hanno bocciato attraverso un referendum il cosiddetto “piano Annan”, elaborato dall’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite per favorire una riunificazione pacifica di Cipro. Secondo le disposizioni della proposta, Varosha sarebbe dovuta ritornare sotto il controllo greco e aprirsi al ritorno dei residenti greci dell’epoca. Una nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha inoltre proibito qualsivoglia vendita di proprietà o insediamento da parte di individui che non siano gli abitanti originari del quartiere.
Fino al 2017, anno in cui le autorità della Repubblica turca di Cipro Nord hanno aperto parzialmente Varosha ai peacekeepers ONU e successivamente ai civili, la città fantasma è rimasta inaccessibile e circondata da reti di filo spinato.
Al contempo, sulla questione di Varosha è intervenuta anche la Corte europea dei diritti umani, che ha stabilito attraverso più sentenze che otto cittadini greco-ciprioti avrebbero avuto diritto ad una compensazione economica a seguito della privazione delle proprie abitazioni e proprietà come risultato del conflitto del 1974. Nonostante la Repubblica Turca di Cipro Nord non sia riconosciuta da alcuno Stato se non da Ankara, dalla quale dipende per la propria sopravvivenza, sia Cipro che Turchia sono Stati membri del Consiglio d’Europa e dunque parti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sulla quale la Corte di Strasburgo ha competenza a pronunciarsi. Per questo motivo, la Corte europea ha ritenuto responsabile la Turchia della violazione dell’articolo 1 del protocollo I della Convenzione relativo al godimento dei propri possedimenti, nonché dell’articolo 8 della Convenzione, che prevede il diritto al rispetto della vita privata e familiare.

In aggiunta, si riscontrano centinaia di casi avviati da cittadini greco-ciprioti dinanzi all’Immovable Property Commission (IPC) di Cipro Nord, con l’obiettivo di ottenere una compensazione per la perdita dei propri possedimenti.
Ad oltre cinquant’anni dal conflitto greco-turco, la situazione di Varosha è tutt’altro che risolta. Nel 2020, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e il suo ambasciatore a Nicosia hanno visitato il quartiere in occasione della rinomina della sua via principale in onore di Semih Sancar, Capo di Stato Maggiore della Turchia tra il 1973 e il 1978. Alla decisione di riaprire Varosha agli insediamenti di cittadini turchi il Parlamento Europeo ha dapprima chiesto alla Turchia di revocare la decisione, e poi di riprendere i negoziati per risolvere la questione cipriota sulla base di una federazione bi-comunitaria, invitando l’UE a sanzionare la Turchia qualora la situazione non fosse cambiata.
A fronte di ciò, tanto Ankara quanto il Presidente della Repubblica di Cipro Nord hanno respinto la risoluzione del Parlamento Europeo. Nel 2022 sono stati riaperti uno stabilimento balneare e alcune attività ad uso commerciale in parte del quartiere.

Al momento, la missione di mantenimento della pace ONU a Cipro si occupa della questione di Varosha, ribadendo la posizione della comunità internazionale in favore della restituzione delle proprietà del quartiere ai greco-ciprioti dell’isola. La situazione sul campo è tuttavia ben distante da una simile possibilità, con istituzioni pubbliche turco-cipriote e nuovi alberghi in attesa di essere riaperti a Maras prima delle prossime elezioni presidenziali a Cipro Nord il prossimo 19 ottobre.