Home In Evidenza Gaetano, l’anti-divo che ci manca da 36 anni

Gaetano, l’anti-divo che ci manca da 36 anni

Massimo Reina

Trentasei anni fa se ne andava Gaetano Scirea, simbolo di un calcio che sapeva unire vittoria, stile e rispetto. Un campione pulito, silenzioso ed elegante in un mondo dominato da divi da copertina e procuratori da supermercato.

Trentasei anni senza Gaetano Scirea. Trentasei anni in cui il calcio ha smesso di essere uno sport e ha cominciato a somigliare a una sfilata di figurine Panini viventi: tatuaggi in HD, dirette Instagram, balletti su TikTok e procuratori che trattano i giocatori come pacchi Amazon. E allora il 3 settembre torna ogni anno come un pugno nello stomaco: perché ci ricorda che un tempo il calcio era anche un luogo abitato da uomini veri, non da influencer travestiti da calciatori. Uomini come Scirea.

Zero espulsioni in carriera. Non perché fosse un turista, ma perché difendeva meglio di chiunque altro senza mai dover rompere un perone o urlare in faccia all’arbitro. Uno che se eri avversario ti rialzava da terra, se eri compagno ti faceva sembrare più forte, e se eri tifoso ti insegnava che si può vincere senza umiliare.

Oggi, al suo posto, cosa ci troviamo? Gente che passa più tempo a litigare coi compagni via social che in campo. Gente che si rotola a terra come colpita da un missile ogni volta che li sfiora una zanzara. Gente che firma contratti da cento milioni e poi si presenta sovrappeso al ritiro, salvo poi dare la colpa al nutrizionista. Cristiano Ronaldo che fa scenate se non batte lui la punizione. Neymar che piange se non è la prima donna. Balotelli che ancora crede di essere un genio incompreso. Pogba che fa più acconciature che presenze.

E allora Scirea diventa non solo un ricordo, ma un rimpianto feroce. Perché oggi i nostri figli crescono con l’idea che il calcio sia un reality show in HD: veline sugli spalti, stories sui social, sponsor sulle sopracciglia. E nessuno che insegni loro che si può essere campioni senza diventare ridicoli.

Gaetano non alzava mai la voce, non cercava riflettori, non aveva bisogno di un codazzo di PR. Eppure, quando entrava in campo, la partita diventava un’altra cosa. Oggi, quando entrano certi fenomeni, la partita diventa una parodia. E allora sì, trentasei anni dopo Scirea ci manca come l’aria. Non solo ai tifosi della Juve, ma a chiunque abbia ancora il sospetto che il calcio non fosse solo un supermercato. Ci manca la sua normalità disarmante, la sua eleganza che non aveva bisogno di tatuaggi, la sua forza che non aveva bisogno di risse.

Se esiste un Paradiso del pallone, Scirea ci gioca ancora. Pulito, silenzioso, a testa alta. E da lassù, forse, ogni tanto guarda giù, scuote la testa e sorride. Non per rabbia, ma per compassione: per noi che siamo rimasti qui, ad applaudire i suoi imitatori taroccati.

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