La cantina protagonista di questa storia è apparsa ai miei occhi quasi come una cattedrale che svetta sopra una collina, un Sacré-Cœur sardo. La strada che ci separa da essa è lunga qualche chilometro e la vista si perde nei colori della Marmilla. Le sue rotondità e il silenzio che le avvolge rendono l’arrivo in cima quasi mistico, complice anche il vento che soffia costantemente in questi luoghi, producendo una sorta di interferenza: un rumore bianco che non stona in alcun modo con il paesaggio.
La Marmilla è un’area collinare molto antica, situata nella provincia di Oristano. Questo territorio è caratterizzato dalla presenza di sabbia e limo, marmo e calcare, ma l’elemento che forse fa da protagonista è il sale, minerale capace di regalare importanti livelli di sapidità. Questa peculiarità è ulteriormente accentuata dal vento che, non solo allontana l’umidità, ma rafforza anche la salinità. Ed è proprio questo alleato, non a caso, a dare il nome all’azienda.
Questa regione, in passato, custodiva una grande tradizione vitivinicola e, con i suoi 2.500 ettari, rappresentava la maggior
parte della produzione enologica dell’intera Sardegna. Tuttavia, nel tentativo di stimolare l’attecchimento di un vero tessuto industriale, le istituzioni avviarono una politica di espianti aggressiva, finanziata dall’Unione europea, che in breve tempo portò la zona a svuotarsi della maggior parte dei vigneti. Dagli anni ’70 ai primi anni 2000 la superficie vitata si è dimezzata. È in questo contesto che si innesta la storia di Salvatore Pilloni, il quale nel 2008 decide di riacquistare il terreno appartenuto in passato alla famiglia. Lo spirito d’avventura e il coraggio imprenditoriale contraddistinguono fin dalle origini questa narrazione: un ritorno alle radici che si sovrappone al vuoto lasciato dalle difficoltà economiche. Ancora oggi questo atteggiamento permea le scelte di Valeria, Roberta e Nicola, che conducono l’azienda fondata dal padre. L’attività, infatti, è cresciuta: si è affiancata l’azienda agricola con il ristorante Arieddas e, in futuro, si punta anche all’accoglienza. Proprio ora è in corso l’ampliamento della cantina, accompagnato dall’estensione dei terreni di proprietà della famiglia, passati da 50 a 80 ettari. Anche la scelta di un’etichetta creativa e di una bottiglia serigrafata ha rappresentato, nel suo piccolo, un elemento di rottura col passato. Domenico Sanna, responsabile dell’accoglienza e degli eventi di Su’Entu, è portavoce entusiasta di questo modus vivendi; crede fermamente nel guardare sempre al futuro, coinvolgendo quante più persone possibili nel settore dell’enogastronomia anche attraverso mezzi non convenzionali. Da qui nasce, infatti, anche la collaborazione con Lonely Planet, che dedica un opuscolo al vino di Sardegna.
Attualmente l’azienda adotta un regime integrato e spera, in futuro, di ottenere la certificazione biologica. L’offerta di vini è ampia, sia negli uvaggi sia nelle modalità di vinificazione, sebbene si tenda a prediligere affinamenti in acciaio: vini giovani e freschi, capaci di conservare aromi e profumi primari. Non mancano, tuttavia, progetti di affinamento in botte. La Linea Terrùas, ad esempio, comprende un cannonau riserva (circa 1.500 bottiglie) che affina sei mesi in botte e poi dodici in tulipe di cemento, nonché un vermentino superiore il cui 20% del mosto passa in tonneaux.
In degustazione abbiamo messo a confronto due bottiglie totalmente antitetiche, ma capaci, proprio nella loro diversità, di stimolare sensazioni intense. Si tratta di Su’ Imari e di Su’ Aro: da un lato, un Vermentino di Sardegna DOC fresco, pungente, dal sapore deciso, che ricorda una natura pronta a sbocciare in primavera; dall’altro, un blend in bottiglia di nasco, moscato e chardonnay, che irrompe come l’estate, con note di frutta tropicale e un colore più caldo, dai riflessi dorati. In questo chiasmo di gusto, consiglio di accompagnare il Vermentino con la mortadella al mirto e miele, anch’essa prodotta in famiglia: il risultato è un perfetto bilanciamento tra la nota grassa e la sapidità naturale del vino.
Se si parla di vino di Sardegna, non può mancare il Cannonau, che qui troviamo in purezza, senza l’aggiunta di quel 10% di altre uve consentito dal disciplinare. Su’ Anima è frutto, ancora una volta, di una scelta coraggiosa ed esprime un colore tenue, insolito per il Cannonau nell’immaginario comune. La vinificazione è breve e solo in acciaio: un vino caratterizzato da sentori fruttati molto intensi e da un tannino poco marcato. La sua amabilità lo rende una buona scelta per l’aperitivo, accompagnato anche soltanto da qualche foglio di pane carasau condito con olio e origano. Decisamente più intenso è invece Su’ Nico, che ha come protagonista l’uva Bovale, rimasta a lungo confinata nell’anonimato. La sua carica polifenolica è elevata e regala un rosso rubino intenso con riflessi violacei e tannino più presente. In questo caso, oltre alla fermentazione in acciaio, c’è un passaggio di dodici mesi in botte che dona maggiore rotondità. Il suo carattere deciso si sposa bene con i formaggi di Argiolas, che ci accompagnano nella degustazione.
Ciò che resta al termine del bicchiere è un velo di freschezza: non solo nei profumi e al palato, ma qualcosa di più persistente che risuona anche nelle parole di chi racconta Su’Entu. È la stessa sensazione che si prova sulla cima di queste colline, dove la melodia del vento si ripete costantemente. Così risuona il fruscio delle idee: giovani, fresche, sempre orientate al futuro e pronte ad affrontare le sfide del domani, prima fra tutte l’aumento costante delle temperature e la scarsità d’acqua che ormai caratterizzano questa regione.