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L’ipocrisia del 7 ottobre

Massimo Reina

Due anni dopo il 7 ottobre, la premier Meloni piange ancora le vittime israeliane ma tace sul massacro di Gaza. L’indignazione a orologeria è ormai la vera politica estera italiana

di Massimo Reina

Ho voluto aspettare qualche giorno prima di scrivere.
Lasciare che le parole si depositassero, che la retorica si sgonfiasse, che la solita sfilata di indignazioni da talk show finisse di girare il proprio carosello.
Solo allora ho riletto le dichiarazioni di Giorgia Meloni: “L’ignominia del massacro compiuto dai terroristi di Hamas contro migliaia di civili inermi e innocenti israeliani.”

Parole solenni, pronunciate come si recitano i dogmi davanti a un altare.
Eppure, mentre la premier si commuove per le vittime israeliane, migliaia di palestinesi continuano a morire a Gaza — bruciati, sepolti, smembrati — senza che da Palazzo Chigi arrivi una sola parola di vera compassione.

Dal 7 ottobre di due anni fa, il mondo è cambiato solo per chi non guarda.
Israele ha trasformato la rappresaglia in programma di governo e l’Occidente in un coro di giustificazioni. Non è più una “reazione sproporzionata”: è un genocidio in diretta, con la benedizione diplomatica di chi dovrebbe fermarlo.

Ospedali bombardati con i feriti ancora dentro. Fosse comuni accanto ai pronto soccorso. Bambini estratti a pezzi dalle macerie. Intere famiglie sterminate in una notte. Giornalisti, medici, volontari uccisi a centinaia.
E tutto questo con le nostre armi, i nostri droni, il nostro silenzio. Ma per Giorgia Meloni, “donna delle istituzioni”, resta soltanto una “reazione andata oltre ogni principio di proporzionalità”. Una frase che passerà alla storia per la sua glaciale ipocrisia. Come dire che Hiroshima fu “una risposta un po’ esagerata”.

L’indignazione selettiva

Meloni piange — giustamente — gli israeliani uccisi da Hamas. Ma ignora — colpevolmente — i 40.000 palestinesi uccisi da Israele. È la solita aritmetica occidentale del dolore: i morti di serie A e quelli di serie B.
I primi hanno nomi, fotografie, funerali di Stato e ricordi solenni.
I secondi, numeri in fondo a un comunicato ONU.

Eppure, tra quelle macerie, c’erano bambini, madri, anziani. Non terroristi, ma persone. Quelle stesse persone che la premier — e con lei l’intero occidente “civile” — fingono di non vedere per non turbare i rapporti con il “governo amico” di Tel Aviv.

Il bavaglio della complicità

Meloni parla di “crisi senza precedenti in Medio Oriente”. Vero. Ma non dice che la crisi l’ha scatenata chi ha deciso di cancellare Gaza dalla mappa. Chi ha tagliato acqua, elettricità, cibo, medicinali. Chi tiene prigionieri due milioni di esseri umani in una striscia di terra grande quanto la provincia di Lecce.
E lo chiama “diritto all’autodifesa”.

In un mondo normale, un premier europeo denuncerebbe questa barbarie.
Invece il nostro la giustifica.
La giustifica con toni da nota diplomatica, come se il genocidio fosse una fastidiosa eccedenza di protocollo.

E non è questione di partigianeria, né di simpatie politiche.
Chi scrive non è contro questo governo, né tantomeno fa il tifo per il PD — che anzi, in questa tragedia, riesce a essere persino peggiore. Ipocrita, opportunista, pavido: capace solo di finti distinguo, di “umanitarismo da talk show”, di post su X per racimolare qualche voto tra gli indignati a giorni alterni.
Sono gli stessi che parlano di pace e democrazia mentre votano per l’invio di armi, fingendo di non sapere dove andranno a finire.

La morale a intermittenza

Meloni, con la consueta retorica da catechismo patriottico, parla di “civiltà occidentale” e di “difesa dei valori”. Ma quali valori?
Quelli di un’Europa che si commuove per gli ostaggi israeliani ma non per i bambini palestinesi decapitati dalle bombe?
Quelli di un’Italia che firma accordi militari con chi distrugge ospedali e scuole, mentre il Papa implora di fermare la carneficina?

La verità è che il governo italiano, come quasi tutti i governi europei, si è inginocchiato di fronte al più spietato dei ricatti: quello di chi si proclama vittima eterna per legittimare ogni atrocità.
E Meloni, pur di restare sotto l’ombrello degli “alleati”, recita la parte dell’equilibrista morale: condanna Hamas, assolve Israele, e chiama “tragedia” ciò che è un crimine di guerra.

Quando il silenzio uccide

Nel frattempo, a Gaza, i droni continuano a ronzare, i bulldozer continuano a spianare, i cecchini continuano a colpire chi tenta di scavare tra le macerie.
È la più lunga esecuzione pubblica della storia recente.
E noi — governo, opposizione, media — siamo lì, a guardare.

In fondo, lo sappiamo: se Meloni osasse dire la verità, verrebbe massacrata dagli stessi che oggi la applaudono. Meglio fingere equilibrio, usare parole che non significano nulla.
Meglio parlare di “crisi” e non di “genocidio”. Meglio “reazione sproporzionata” che “crimine di Stato”.

Ma la storia non dimentica.
E un giorno, quando i tribunali internazionali e la coscienza collettiva presenteranno il conto, scopriremo che il vero crimine non fu solo quello di chi bombardava, ma anche di chi taceva.

Chi tace, chi minimizza, chi bilancia il dolore come un contabile della diplomazia, non è neutrale: è complice.
E il silenzio dei complici, come sempre, è più assordante delle bombe.

 

 

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