Home Attualità La Grecia, il lavoro e l’arte della dominazione “democratica”

La Grecia, il lavoro e l’arte della dominazione “democratica”

Massimo Reina

“Se vuoi un’immagine del futuro, immagina uno stivale che calpesta un volto umano – per sempre.”  George Orwell, 1984.

Nel settembre del 2023, il Parlamento greco ha approvato una legge che consente di lavorare fino a 13 ore al giorno, su base “volontaria”. I media occidentali l’hanno definita una riforma “moderna”, finalizzata alla “flessibilità del mercato del lavoro”. In realtà, è l’ennesimo esempio di come il linguaggio del potere venga sistematicamente utilizzato per camuffare l’ingiustizia sociale come necessità economica.

Questa misura, lungi dall’essere un’eccezione, rappresenta il compimento di un processo iniziato decenni fa con l’egemonia del neoliberismo. Da Reagan e Thatcher in poi, l’ideologia dominante ha operato per demolire i diritti del lavoro, disarticolare le tutele collettive e trasformare l’essere umano in una merce flessibile, adatta al fabbisogno delle imprese transnazionali.

Il principio dell’obbedienza economica

Non è un caso che la Grecia sia di nuovo il laboratorio di questa “modernizzazione”. Dopo aver subito la devastazione sociale imposta dalla Troika (Commissione Europea, BCE e FMI) in cambio dei cosiddetti “salvataggi”, oggi si torna a colpire lo stesso segmento sociale: il lavoratore dipendente. Ma con una novità retorica: stavolta, non si parla di “sacrifici” imposti, bensì di “libera scelta” del lavoratore.

Questo è un elemento tipico della propaganda neoliberista: l’illusione della scelta individuale in un contesto di coercizione sistemica. Dire a un lavoratore che può “scegliere” di lavorare 13 ore al giorno in un paese con alti tassi di disoccupazione, salari stagnanti e inflazione in crescita, è come dire a un affamato che può “scegliere” di vendere il proprio rene. In teoria è una libertà. In pratica, è un ricatto.

Il ruolo del linguaggio

Come ho sottolineato in più occasioni, il controllo del linguaggio è uno strumento centrale del potere. La nuova legge greca viene descritta con parole neutre o positive: “modernizzazione”, “adattabilità”, “flessibilità”. Ma il significato reale è chiaro: estensione dell’orario di lavoro senza reale compensazione, indebolimento dei sindacati, isolamento del lavoratore.

L’obiettivo è duplice: da un lato, aumentare i margini di profitto in un contesto di competizione globale; dall’altro, ridurre la capacità collettiva di resistenza, spezzando i legami di solidarietà. Un lavoratore esausto, impaurito e precario, non sciopera, non vota, non si organizza. Accetta, obbedisce, si piega.

Il silenzio dell’Unione Europea

Ci si potrebbe chiedere dove siano le istituzioni europee che si dichiarano custodi dei “valori fondamentali”. La risposta è semplice: sono le stesse che hanno imposto alla Grecia, tra il 2010 e il 2015, tagli drastici alla sanità, all’istruzione e alle pensioni, provocando un aumento esponenziale della povertà, della disoccupazione giovanile e dei suicidi. Quelle misure furono presentate come “inevitabili”. Anche oggi, l’austerità si ripresenta sotto mentite spoglie, ma con la stessa funzione: disciplinare.

L’economia contro la democrazia

L’Europa contemporanea è dominata da un modello tecnocratico in cui le decisioni cruciali non sono più affidate a processi democratici, ma a organi non eletti (come la BCE o la Commissione Europea), in stretta connessione con gli interessi del capitale finanziario globale.

La legge greca è solo un sintomo. Il problema più ampio è che l’intera architettura economica dell’UE è stata disegnata per impedire una reale sovranità popolare. I governi possono cambiare, ma le politiche restano le stesse. Perché i vincoli non sono politici, ma strutturali: vincoli di bilancio, regole del mercato, trattati intoccabili.

Applaudire le proprie catene

Non si tratta solo di un attacco ai lavoratori greci, ma di un segnale chiaro per tutto il continente: si va verso una società dove la libertà è formalmente garantita, ma sostanzialmente negata. Dove i diritti sono subordinati ai mercati, e dove il cittadino diventa consumatore, debitore, cliente, utente. Mai soggetto politico.

Come sempre, il primo passo per resistere è chiamare le cose con il loro nome. Questa non è flessibilità. È sfruttamento. Non è progresso. È regressione sociale. Non è scelta. È coercizione. E se non comprendiamo ciò ora, la storia ci ricorderà come la generazione che ha applaudito le proprie catene.

You may also like

Lascia un commento