Home Storia, Arte, Cultura AL CIRCOLO DEGLI ESTERI DELLA FARNESINA prosegue la mostra “STORIE”

AL CIRCOLO DEGLI ESTERI DELLA FARNESINA prosegue la mostra “STORIE”

Redazione

Nell’ambito del progetto “Storie” ideato e curato da Carlo Franza  al via la mostra dal titolo “Codice naturale ” Con le opere di Julianos Kattinis, Marisa Settembrini, Eugenia Serafini.  In esposizione fino al 24 gennaio 2026 

ROMA – “STORIE” è un progetto appositamente ideato per il Circolo Esteri del Ministero Affari Esteri di Roma nel quadro della Collezione Farnesina di Arte Contemporanea.
Esso vive nobilmente sulle arti che riprogrammano il mondo, si campiona ad essere uno spettacolare archivio decentralizzato ove le diverse discipline si nutrono di arte-mondo, mira a rappresentare come si abita la cultura globale, ovvero l’
altramodernità, che altro non è che una sorta di costellazione, una specie di arcipelago di singoli mondi e singoli artisti le cui isole interconnesse non costituiscono un continente unico di pensiero, ma lo specchio di un’arte postproduttiva e frontaliera, mobile, ipermoderna, ipertesa, ipercolta, mente e cuore, ma anche progetto e destino della comunicazione estetica. E’ con questo progetto, ideato e diretto dall’illustre Storico dell’Arte Moderna e Contemporanea Prof. Carlo Franza, intellettuale di piano internazionale, che si vuole indicare e sorreggere un’Europa Creativa Festival e, dunque, protagonisti e bandiere, bandendo ogni culto del transitorio per porgere a tutti il culto dell’eterno. Il terzo millennio che fa vivere i processi creativi nel clima di abitare stili e forme storicizzate, perché il futuro è ora, fra rappresentazioni e interpretazioni, ci porta a cogliere il nuovo destino della bellezza. Con l’arte vogliamo aprire finestre sul mondo, con l’arte vogliamo aprire stagioni eroiche, con l’arte vogliamo inaugurare una nuova civiltà.

Con “STORIE” (2024-2027) si porgono dodici mostre personali di dodici artisti contemporanei, taluni di chiara fama. Questa mostra dal titolo “La stanza delle Marche” è la quarta del nuovo percorso, ed è già una novità in quanto si veicolano a Roma nomi dell’arte contemporanea di significativo rilievo, che evidenziano e mettono in luce gli svolgimenti più intriganti del fare arte nel terzo millennio. L’esposizione curata dall’illustre Storico dell’Arte Contemporanea di fama internazionale, Prof. Carlo Franza, che firma anche il testo in catalogo dal titolo “Codice Naturale” riunisce una serie di opere degli artisti Julianos Kattinis, Marisa Settembrini, Eugenia Serafini, già apparsi agli occhi della critica italiana e internazionale come figure delle più interessanti e propositive dell’arte contemporanea, ed ancor oggi nella memoria di tutti ricordati come chiari e significanti interpreti.

Scrive Carlo Franza nel testo: “La citazione classicheggiante, il gusto del frammento storico, le parole piuttosto che la langue, sembrano corrispondere alla mancanza oggi di paradigmi unici e fondamenti. A guardare i capitoli e il lavoro artistico dei tre artisti è da qui, dalle vicende dell’oggi, che essi muovono nel vivere e fare la storia. Dico questo, perchè oggi siamo oltre il Postmoderno. Prima di essere qualcosa il Postmoderno è negazione di quello che va sotto il nome di modernità. Paolo Portoghesi, amico e intellettuale italiano dice a questo proposito: “la sua utilità sta proprio nell’aver consentito di mettere insieme provvisoriamente e paragonare tra loro cose diverse, nate però da un comune stato d’animo di insoddisfazione nei confronti di quell’insieme, altrettanto eterogeneo di cose che va sotto il nome di modernità. In altre parole il postmoderno è rifiuto, rottura, abbandono, assai più di quanto non sia scelta di una direzione di marcia”.

Da quei grandi movimenti come il futurismo, il realismo magico, la poesia visiva, la poesia visuale e altro, procede il lavoro artistico diJulianos Kattinis, Marisa Settembrini ed Eugenia Serafini sul linguaggio, sulla comunicazione, sui segni, sulle lettere, ove i riferimenti esterni sono la molla che fa scattare la corda-rivoluzione dell’informazione; lo statuto della modernità era fatto su misura per una società in cui era avvenuta quella rivoluzione dell’informazione che ha scosso profondamente le strutture del nostro mondo. I tre artisti italiani procedono sensibilmente attratti sulla linea dei “Novissimi” che sul versante della poesia aprirono gli anni del secondo Novecento, perché novus in latino può significare rivoluzionario, e dunque in linea per chi intende una svolta decisiva dell’arte.

Julianos Kattinis novello Enea disceso dall’Oriente a Roma, dopo aver giocato con gli Dei dell’Olimpo, in quella terra greca che gli ha travasato i geni, Kattinis insegue l’itinerario della fantasia e della memoria attraverso connessioni ideologiche, alfabeti, trame, giochi della mano e della mente, e riscrive con un linguaggio attuale l’ebbrezza arcaica, l’oriente esoterico, il fervore di una manualità tecnica che ha affrontato l’affresco e la grafica, i dipinti egli acquarelli. Culture diverse approdano, quindi, nel suo lavoro artistico, e l’oriente si amalgama all’occidente; del primo si legge il colore e la luce, del secondo tutta la dialettica delle avanguardie europee, con Picasso che ha aperto all’Europa la profonda trasformazione…Dalle dominanti visive che emergono dalle sue opere fuoriesce una vigorosa sintesi, il senso di una personalità convincente, originale e poetica, tutt’altro che cristallizzata. La materia e le forme delle sue immagini sono come prese da improvvise vertigini, e l’organicità della sua morfologia è un universo dilatabile e convulso fino ai più serrati e allucinanti esiti, a una germinazione nel reale, mettendo alle strette fantastico e metafisico, che ormai hanno certificato la personalità di Julianos Kattinis, nello stile delle sue simmetrie. Il gesto pittorico diventa così un atto rituale, un’esperienza liminale che si manifesta quasi in uno stato di trance meditativa.

La rappresentazione dell’infinito messa in piedi da Marisa Settembrini, illustre artista del Brera a Milano, anche nella sequenza della “Rosa” o del “Ritratto di Leopardi” va letta come indagine sulla transitorietà del tempo e delle cose, sul decrescere della rosa e sul suo sfiorire, come pure sul ritratto e il volto del poeta che ne contiene la sua vita Marisa Settembrini vissuta. In questo movimento l’evento artistico della Settembrini si è venuto ad esaurire con l’atto stesso della creazione. Arte non è dunque la pittura eseguita ma l’atto di eseguirla. E se l’arte è eseguire un gesto, il valore artistico sta soprattutto nel gesto stesso, in secondo luogo nel prodotto di quel gesto. Tra i vari gesti simbolici della Settembrini, quello di raccontare e assemblare la tela riassume il concetto di rappresentazione dell’infinito. Questo atto si impone come azione di ricerca e apertura verso uno spazio fisico e reale (il bosco, il giardino, la siepe, i fiori, l’orizzonte, l’accavallarsi infinito di ore e giorni) anche se infinito. La superficie stessa dei teleri, tra vuoti e pieni, come scenari aggettanti, è entrata in rapporto diretto con lo spazio e la luce reali. Tutto è qui giocato su collage-dècollage, su racconti di simbologie mitizzate, con cui, specie la luce radente, sottolinea le soluzioni di continuità. “In-finitum” è non solo ciò che è senza fine, illimitato; ma anche non-finito, incompiuto. Visioni che mettono in gioco le categorie del tempo e dello spazio. Ecco che con i teleri espressi e lavorati da Marisa Settembrini ci viene proposto con questa mostra ora come allora con “Omaggio a Leopardi” sia un viaggio alla ricerca del concetto di infinito nelle sue diverse accezioni, che ad esperire il senso cosmico dell’infinito e il prevalere della natura su tutto, come nel caso dell’installazione del bosco-siepe, spoglio e disadorno ma anche vegetante.

Eugenia Serafini ha aderito a portare avanti con nobiltà questa lettura artistica dell’esistente, questa fare arte senza perimetri, senza confini e senza frontiere, come una piattaforma celeste sempre mossa in direzione del sapere, come forma, luce e materia, sempre cariche di significati simbolici, e soprattutto come gesto artistico di indubbia matrice concettuale che ha fatto decisamente leva sulle architetture formali di ciò che è stato elevato al rango di immagine. Il suo lavoro di decenni appare oggi come una foresta che si è disposta, si è espansa e si è infittita sempre di simboli, svelando la densità storica di ogni immagine. La dimensione sacrale e spirituale di questa maturazione, spettacolo naturale-artificiale sacralizzato vive una dimensione nuova, come se la Serafini avesse, per un’intuizione antica, dato origine a una lettura del mondo e ai suoi alfabeti, tramite una riconciliazione tra imago imaginata e imago imaginans. E nel quadro di tutti gli svolgimenti e dei movimenti che si sono succeduti negli ultimi cinquant’anni nell’arte, il suo lavoro artistico, senza cedere a lusinghe e sirene, è in linea con quel detto del filosofo Bohme: “Il mondo visibile, con la sua moltitudine e le sue creature, altro non è che il verbo traboccato”. La sua arte è così possibile definirla un axis mundi che ci indica le altezze del cielo e le profondità della terra; ma anche un sapiente rivolo del mondo della natura, isolato dal fluire continuo della sua linfa vitale che tutto forma e modifica. E se nei “Fiori del Male” di Baudelaire è scritto che “la natura è un tempio ove pilastri viventi lasciano sfuggire a tratti confuse parole”, la sua arte intera è stata un’installazione sostenuta da un rapporto paritario tra il linguaggio dell’uomo e l’intera esistenza, liberando quella visionarietà dell’esistente che lega il mondo animale, vegetale e minerale in modo fluido, reciproco e primordiale. Il giusto ruolo che le spetta di sicura protagonista dell’arte contemporanea rivive tra la memoria matissiana e le prove dell’avanguardia, ruolo piegato alle diverse necessità di racconto, ai mutamenti dada, alla nativa virtuosità coloristica”.

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