Milano, 22 ott. (Adnkronos Salute) – Era inizio autunno del 2011 quando in Europa veniva intercettato per la prima volta un raro sierotipo di Salmonella: la Salmonella Strathcona. Fino ad allora il batterio in questione era stato documentato solo 3 volte a livello globale. Poi quell’anno diversi Paesi europei hanno cominciato a segnalare infezioni, soprattutto la Danimarca. All’epoca le prime indagini condotte sull’epidemia hanno acceso un faro su una probabile fonte dei casi: pomodorini siciliani. Da allora, le notifiche di S. Strathcona in Europa sono continuate. Il batterio dava segni della sua presenza in modo ciclico, con epidemie stagionali ricorrenti, solitamente dall’estate all’inizio dell’anno successivo. Anche nel 2025 sono state rilevate nuove infezioni e su quest’ultima epidemia è anche in arrivo una valutazione rapida. Nel frattempo, però, uno studio pubblicato in questi giorni sulla rivista ‘Eurosuveillance’ ricostruisce tutta la vicenda, analizzando l’epidemiologia dei casi tra il 2011 e il 2024 ed esplorando la correlazione genomica delle sottospecie rilevate per identificare con maggiore certezza il possibile veicolo alimentare dei recenti focolai.Nell’arco temporale dello preso in considerazione nello studio, gli autori hanno identificato 662 infezioni da Salmonella Strathcona in 17 Paesi dell’area: 469 casi confermati, 161 probabili, 13 possibili e 19 non epidemici. Considerando solo i 643 casi epidemici, spiegano gli esperti, quasi la metà (306) sono stati segnalati durante un’epidemia tra il 2023 e il 2024. Considerando i vari focolai che si sono succeduti negli anni, la Germania ha notificato il maggior numero di casi epidemici (229; 36%), seguita da Danimarca (93) e Austria (77). Per quanto riguarda il 2025, nel corso di questo ultimo anno sono stati segnalati altri 29 casi fino a inizio settembre. Gli autori fanno presente che non tutti i Paesi che hanno osservato infezioni di S. Strathcona dal 2011 hanno aderito all’indagine collaborativa per lo studio e, poiché l’identificazione dei casi si è basata in gran parte sulla notifica obbligatoria, l’ipotesi degli autori è che il numero effettivo di infezioni sia probabilmente “notevolmente più elevato”. Al di là di questo, le analisi contenute nello studio sembrano indicare una fonte comune e un veicolo alimentare comune, i pomodori appunto. Questo sembra suggerire il Dna. Il sequenziamento dell’intero genoma degli isolati durante il periodo di studio ha infatti mostrato che quasi tutti (95%) erano altamente correlati geneticamente nel tempo e nei diversi Paesi, un dato compatibile con l’idea di una fonte comune.La ricerca ha coinvolto numerosi centri d’Europa, dall’Austria alla Danimarca, dalla Germania al Regno Unito, dalla Finlandia alla Croazia, così come organismi Ue, dall’Ecdc (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) all’Efsa (l’Autortà europea per la sicurezza alimentare di base a Parma in Italia). E gli autori, Vivien Brait e colleghi, “ritengono probabile che i pomodori possano essere stati il veicolo nella maggior parte, se non in tutti gli anni”. Oltre all’indizio emerso dalle indagini su quel primo focolaio europeo di Salmonelli Strathcona, anche precedenti epidemie di salmonella, ad esempio in Svezia, Finlandia e Stati Uniti, avevano dimostrato che i pomodori freschi possono essere un veicolo alimentare, spiegano gli esperti. Ciò può essere correlato al consumo di pomodori non cotti o al fatto che i patogeni potrebbero essere presenti nei tessuti vegetali, il che – ragionano gli autori – può significare che “il lavaggio dei pomodori potrebbe non essere una misura preventiva efficace contro la salmonellosi”.Secondo Brait e colleghi, le indagini condotte in questo studio “suggeriscono la presenza di focolai ricorrenti in Europa dal 2011, con un andamento stagionale dei casi di S. Strathcona, collegati a pomodorini provenienti da una fonte comune”. Al di là della vicenda in questione, fanno infine notare, questa storia offre anche una conferma di quanto sia importante superare i confini dei singoli Paesi e scambiarsi informazioni facendo squadra, in un mondo in cui anche le filiere alimentari, e dall’altro lato le epidemie, sono ormai ‘globalizzate’. “L’indagine – concludono gli autori – esemplifica il valore aggiunto, ma anche la necessità di ampie indagini collaborative transfrontaliere e intersettoriali, idealmente supportate dall’Ecdc e dall’Efsa per affrontare complesse epidemie di origine alimentare”.