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Covid-19 Germania vs Italia

Francesco Mazzarella

Perché il tasso di mortalità della Germania è così basso? Ci sono diverse risposte, sostengono gli esperti, un mix di differenze reali nel modo in cui il Paese ha affrontato il problema.

Proviamo a svilupparne qualcuno: L’età media di coloro che sono stati infettati in Germania è più bassa di quella di molti altri Paesi.

Inizialmente i pazienti infetti da covid19 provenivano dalle stazioni sciistiche di Austria e Italia, quindi, relativamente giovani e in salute.

Il professore Hans-Georg Kräusslich, direttore di virologia dell’University Hospital di Heidelberg, uno dei principali ospedali di ricerca della Germania, definisce questa prima fase come: “un’epidemia di sciatori”. Con la diffusione dell’infezione, sono state colpite anche le persone anziane e il tasso di mortalità, che era appena dello 0,2% a fine marzo, è aumentato. Ma l’età media delle persone che contraggono la malattia, a differenza con l’Italia e con la Francia, rimane relativamente bassa, 49 anni, contro i 62,5 anni in Francia ed i 62 in Italia.

Inoltre, in Germania il test è stato fatto a molte più persone, circa 1 milione e 400 mila, superato solo dagli stati uniti con oltre 3 milioni.

Questo significa che registra più persone con sintomi lievi o asintomatiche, aumentando il numero dei casi noti, ma non quello dei decessi. Questo automaticamente abbassa il tasso di mortalità, e consente anche di limitare il contagio, perché è molto più alta la percentuale dei casi emersi, che quindi vengono posti in isolamento, uniamo a questo l’alta disponibilità di letti di terapia intensiva ed un governo le cui linee guida di distanziamento sociale sono state ampiamente osservate.

“Il motivo per il quale noi in Germania abbiamo così pochi decessi al momento rispetto al numero di infetti può essere ampiamente spiegato dal fatto che stiamo facendo un numero estremamente grande di diagnosi in laboratorio”, afferma il Dott. Christian Drosten, virologo al Charité, il cui team ha sviluppato il primo test. La Germania sta conducendo circa 350.000 test a settimana, molto più di qualsiasi altro Paese europeo. I test precoci e diffusi hanno permesso alle autorità di rallentare la diffusione della pandemia isolando i casi noti.

Una chiave per assicurare un ampio controllo è non far pagare nulla ai pazienti, un’importante differenza rispetto agli Stati Uniti nelle prime settimane dell’epidemia (poi i test sono stati resi gratuiti).

I test e il tracciamento sono la strategia che ha avuto successo in Corea del Sud e noi abbiamo cercato di imparare da questo”, ha spiegato Streeck. E la strategia del tracciamento dei contatti è stata applicata più rigorosamente. Tutti coloro che erano tornati in Germania da Ischgl, stazione sciistica austriaca che ha avuto un focolaio, per esempio, avrebbero dovuto essere rintracciati e testati.

Oltre ai test di massa e alla preparazione del sistema sanitario nazionale, molti vedono anche la leadership della Cancelliera Angela Merkel come uno dei motivi per un tasso di mortalità così basso. La Merkel, che ha una formazione accademica da scienziata, ha comunicato in maniera chiara, calma e regolare per tutta la crisi, mentre imponeva le misure di distanziamento sociale al Paese. Le restrizioni, fondamentali per ridurre la diffusione della pandemia, sono state ampiamente seguite e l’indice di gradimento della Cancelliera è aumentato. Sembra che la grande forza della Germania sia proprio basata su due fattori combinati tra loro, la grande fiducia della popolazione verso il governo e un processo decisionale più razionale nei livelli più alti del governo.

Il tasso di letalità dell’Italia è uno spaventoso 13%, in uno studio condotto da 12 ricercatori italiani, dal titolo “L’infezione da Covid-19 in Italia: uno studio statistico di una malattia eccezionalmente grave”, i ricercatori hanno dimostrato che l’alto tasso di letalità (CFR), ossia la proporzione di decessi sul totale dei casi confermati, osservato in Italia è “probabilmente influenzato da una forte sottovalutazione dei casi infettati”. “Per fornire una stima più realistica della mortalità da Covid-19”, gli esperti hanno utilizzato anche il caso della Diamond Princesse, “una buona rappresentazione di un caso di studio di un sistema isolato in cui sono state testate tutte le persone”. “Le stime di mortalità (IFR) ottenute all’interno della Diamond Princesse sono un valore obiettivo, non influenzato dalla sottovalutazione del numero di persone infette”.

Emerge dallo studio che il numero di contagiati in Italia “non ha mai seguito una distribuzione esponenziale, ad eccezione dei primissimi giorni, nonostante il numero delle persone infette sia il principale parametro preso in considerazione dalle autorità e il più sottolineato dai media, il suo reale valore è ampiamente incerto e certamente sottostimato. Infatti, dipende in modo cruciale dal numero di test di laboratorio eseguiti sulle persone per accertare l’infezione, che è tuttavia limitato e molto piccolo rispetto al numero di abitanti. Inoltre, le procedure per testare le persone sono altamente variabili all’interno delle diverse regioni d’Italia e sono cambiate nel corso delle ultime settimane; a causa di questa discordanza, questo numero è statisticamente molto disomogeneo e non adatto ad interpretare la reale evoluzione dell’infezione”, scrivono i ricercatori.

Il numero di test in Italia è andato dai circa 2.427 (27 febbraio) a 26336 (21 marzo) ed è calato nuovamente a 25180 (22 marzo) e 17066 (23 marzo). Recentemente, ha raggiunto un valore di 36615 il 26 marzo”.

Negli ultimi giorni finalmente anche in Italia è aumentato il numero di tamponi, siamo arrivati a 850 mila test effettuati, ma rimangono molti meno di USA, Russia e Germania e, in rapporto alla popolazione, inferiori anche a Svizzera, Austria, Portogallo, Islanda, Estonia, Lussemburgo, Israele, Australia, Emirati Arabi Uniti, Bahrein).

Nella ricerca dei fattori di rischio che i ricercatori hanno provato a identificare piano piano sembra essersi fatta strada che il sistema sanitario italiano si sia trovato impreparato all’emergenza per una sindrome come il covid19 che attacca le vie respiratorie. Infatti, si nota che prima del covid c’erano già circa 60 milioni di persone per un totale di 5090 posti in terapia intensiva, contro, ad esempio, gli 82 milioni in Germania con 28000 posti disponibili. Un altro indicatore che “qualcosa è andato storto” nella gestione iniziale dei contagi, in Lombardia, sono il numero di personale sanitario contagiato, circa 6410 persone, facendo coì pensare che gli ospedali stessi sia stati i vettori più efficaci per l’epidemia nella prima fase in Lombardia.

In conclusione, tra tutte le possibili cause di una mortalità così alta in Italia, lo studio evidenzia che “l’effetto più ragionevole include una forte sottovalutazione dell’estensione dell’infezione”, mentre “un possibile ulteriore contributo potrebbe essere fornito dall’inquinamento molto alto da polveri sottili”, insieme alla “scarsa preparazione e ai possibili errori iniziali del sistema sanitario, principalmente in Lombardia, dove l’epidemia è esplosa prima in pochi giorni”.

I ricercatori, infine, hanno sottolineato come sia chiaro che “l’aumento o la diminuzione delle nuove infezioni giornaliere dipenda dal numero di test. Questa è un’ovvia conseguenza del fatto che il vero numero di infezione è molto più grande del piccolo campione testato: quindi, più test vengono eseguiti, più casi vengono registrati”. Nello studio, i ricercatori hanno anche avanzato una previsione sull’evoluzione futura dell’epidemia, basandosi sul “numero giornaliero complessivo dei decessi, corretto per un adeguato IFR”. I dati ottenuti “mostrano che il picco dell’infezione è stato superato oltre due settimane fa e la saturazione della curva (fine dell’epidemia) è attesa entro la prima settimana di aprile o pochi giorni dopo”.

Allo stesso tempo in Italia le regioni iniziano ad ipotizzare uscite dalla fase 1 in modo diverso, in alcuni casi sembrano più che idee operative slogan elettorali, Credo che in questo momento la fiducia va risposta sul Governo e sugli esperti che ha nominato per la studio della situazione, nella certezza che la principale attenzione sia proprio sul bene comune e non su possibili interessi evidenti o celati.

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