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ANTISOGGETTIVISMO SLIRICIZZANTE DI ANTONIO LANZA

Redazione
Antonio Lanza, in Suite Etnapolis (Interlinea Ed., NO, 2019), un vero e proprio poema articolato nel giro di una settimana intorno a un gigantesco centro commerciale nei pressi di Paternò in provincia di Catania (luogo natale dell’autore). Sotto l’aspetto formale Suite Etnapolis è una miniera di trovate retoriche e scritturali

Un’anomala e insolita operazione di scrittura è quella che fa Antonio Lanza, in Suite Etnapolis (Interlinea Ed., NO, 2019), un vero e proprio poema di oltre cento pagine (più che poemetto) articolato nel giro di una settimana intorno a un gigantesco centro commerciale nei pressi di Paternò (luogo natale dell’autore), dove “il tempo / pur passando anche di qui, qui / non lascia storia, perentorio / big bang di cemento da cui d’un colpo / questo bianco Etnapolis è sorto” (p. 65). L’autore è prodigo di riferimenti geografici sulla “strenua periferia” (p. 95) della città di Catania, dove la strada statale 121 (verso Misterbianco, la stessa Paternò, Biancavilla e Adrano) prosegue poi per fare il giro dell’Etna nella strada 284 (verso Bronte), fermo restando che questa “Etnapolis di tutte / le etnapolis di tutte / le province del mondo” (via via

definita iperbolicamente “Materna e Moloch, Mammona e Maschera di lupa, Multisala, Multicefala” [p. 74] e “immobile Babilonia, balena spiaggiata, colonia penale, pista di decollo, navicella spaziale, Ecclesia” [p. 34]) non fa che racchiudere il vuoto: “più arredammo il vuoto, / e più il vuoto ci scappò di mano”. D’altra parte la finalità del centro commerciale (non solo di quello etneo, ma di ciascuno) è, capitalisticamente e consumisticamente, la “conta del profitto” (come l’autore, con interventi in prima persona, a fine di quattro sezioni su sette, ribadisce).

Le sezioni sono denominate dai giorni della settimana, a cominciare dalla domenica. In essi si svolgono i “fatti”, minuziosamente descritti, che i vari personaggi mettono in scena, soprattutto commessi o addetti alle pulizie. I principali sono quelli chiamati Alfredo, Daria, Vanessa, Cinzia, Laura e Samuele, ma anche la guardia giurata Nuccio. Così Vanessa si sente grassa (si saprà che soffre di depressione post-partum), Laura viene insultata al telefono, Daria rievoca una sua avventura al femminile, Alfredo parla di sua madre che non c’è più (non era morta di cancro ma si era tolta la vita), Cinzia riferisce a Vanessa del cagnolino che suo marito non aveva investito ma raccolto per strada, ma soprattutto si assiste poi alla messinscena di un cervo che viene visto da molti aggirarsi nei giardini e che in realtà è quello proiettato da un videomaker (e commenterà una commessa: “Anziché andarvene in giro a fare domande del cazzo sul cervo di qua e il cervo di là, perché […] non chiedete quali sono le condizioni lavorative di quelli che lavorano qui a Etnapolis?”, p. 100). L’apparizione farà anche rispolverare a qualcuno il mito classico del cervo e di Ciparisso, che Samuele riassumerà così a Cinzia: “E alla fine Apollo lo trasforma in un cipresso, la cui resina sul tronco forma gocce simili a lacrime […]. Sempre Apollo lo piangerà, e sempre Ciparisso piangerà per tutti gli altri, insieme a chi soffre” (p. 90). Commenterà l’autore; “La verità è scomponibile, il dubbio / sempre si insinua tra gli smottamenti / dei pixel” (p. 88).

Oltre ai personaggi identificati all’anagrafe ci sono anche quelli anonimi, come il gruppo delle addette alle pulizie, chiamate “Le silenziose”: “Sono donne minute / o corpulente e le immagini poco / istruite ma piene di forza, puledre / resistenti alle fatiche, indurite / madonne” (p. 39). E poi ci sono i “manichini dall’aria pensosa, dalla / corporatura prestante, congelati / in pose svagate – manichini uomini / e manichini donne – chiusi dentro / larghe vetrate a far mostra di sé, di borse, top, giacche, occhiali, / clutch, pashmine, scarpe / congelati in pose innaturali” (le cui “teste metafisiche” richiamano persino la pittura di Giorgio De Chirico), p. 41. L’anonimia si completa con le “voci dagli altoparlanti”.

Come si è potuto vedere, la “realtà” che Lanza ha inteso descrivere è molto ordinaria e comune, ma è quella che conta. Dirà infatti l’autore: “piàcciati entrare intera nel mio canto” (p. 34) e, alla fine aggiungerà: “Mi aggrappo alla carne della tua coscia, / e nel buio dell’abitacolo ti chiamo / vita!” (p. 120).

Sotto l’aspetto formale Suite Etnapolis è una miniera di trovate retoriche e scritturali. Considerando poi i larghi interventi in prosa (a es: da p. 112 a p. 119) si può parlare anche di prosimetro. Ma soffermiamoci un momento sulla parte versificata. E’ frequentissimo l’enjambement, sono comuni gli ipèrbati (es.; “E allora prostiamoci, tra sé / s’infuria, a questo dio”, p. 10), le ripetizioni, non soltanto in forma di anafora ed epifora ma anche in altre, le parole composte (“mangiapreteatradimento”, p. 31; “figliodibuttana”, p. 119), qualche sinestesia (“l’umido rumore”, p. 10), e inventivi paragoni (“sono lingue senza saliva”, p. 11; “zampe cerbiatte”, p. 24; “e il tamburo / del cuore che non si decideva a andare a capo, che proseguiva / la riga, travalicava la pagina, rincorso dall’orologio al muro”, p. 29; “una lama che tagliava in due l’arancia del giorno”, paragone che poi si concretizza nel diverso modo di mangiarla che faranno Cinzia, Laura, Vanessa, Alfredo, Daria e Samuele, pp. 66/67; “un moccio di silenzio / che cola dagli altoparlanti”,p. 111). Ci sono molte enumerazioni, non soltanto caotiche (es.:“dover / sviare tra scatoloni, scarti, di verdure, sventrati sacchetti / di plastica, odorumi di ogni sorta”, p 22) e qualche uso del tropo dell ironia (es.”la messe di auguri / di piacevole permanenza, di buoni / acquisti, di felice anno nuovo è / voce accogliente di donna perché alla donna / compete la sfera degli affetti, / i doveri di casa, le calde / mani sul viso”, p. 47). Ma dove Lanza risulta eccessivo è nell’uso dei grafismi (corsivi, maiuscolo, rientranze a metà verso, soprattutto cancellazione di righe a mezzo di una linea continua, che permette tuttavia di leggere ugualmente il testo). Per il lessico, l’intervento più lungo in siciliano è a p. 62, mentre sono frequentissimi i lemmi massmediali o dell’uso dei social network (black-out. speaker, quelli già visti a proposito dei manichini, whatsapp, online, account, mi piace, commenta, condividi, www.youtube.com/ilcervo-di-etnapolis. ecc.).

Infine, affiorano qualche volta riferimenti letterari o pittorici, come “i Karamazov del catalogo Oscar”, “Faulkner e Bukowski”, il già citato riferimento dechirichiano o “ondeggianti / papaveri in un quadro impressionista”.

Tirando le somme, se c è un autore a cui possiamo accostare Lanza è Elio Pagliarani (la cui Ragazza Carla apparve sul “Menabò” n° 2 del 1960, e fu poi pubblicata in un volume mondadoriano nel 1962). Anche lui dimostra “una preoccupazione antisoggettiva e sliricizzante”, come dice Daniele Piccini, che parla di “mimesi dell’oralità con tutto il suo portato di realtà non letterariamente anestetizzata”(La poesia italiana dal 1960 a oggi, RCS Libri, MI, 205, p. 93). O come aggiunge Pier Vincenzo Mengaldo, che parla del “presupposto, comune a Pagliarani e alla neoavanguardia, che l’attacco alla società contemporanea debba muovere da una mimesi critica e demistificante dei suoi linguaggi e della loro funzione ideologica” (Poeti italiani del Novecento, Mondadori, Mi, 1978, p. 935).

ANTONIO LANZA, Suite Etnapolis, Interlinea Ed., NO, 2019, €. 12,00.

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