Home In Evidenza I mostri ai confini delle nostre paure nel volume “Figure del limite. Estetica dell’Ibrido tra Arte e Filosofia” Graphe.it edizioni

I mostri ai confini delle nostre paure nel volume “Figure del limite. Estetica dell’Ibrido tra Arte e Filosofia” Graphe.it edizioni

Giorgia Piccolella

Nel volume i saggi di Alessandro Gatti e Samuele Strati. Prefazione di Nicola Zengiaro e postfazione di Flavio Piero Cunimberto.

Il mostro nelle fiabe, nel cinema, nell’arte ma anche nei recessi piu’ oscuri della mente, dove si annida la paura ancestrale, la voce inconscia, lo spettro di ciò che potremmo essere o diventare: la figura del mostro accompagna da sempre l’uomo, fa parte della sua storia e della sua natura umana.

Allora cosa significa essere umani, non essere mostri, non oltrepassare mai l’invalicabile?  Nel libro “Figure del limite. Estetica dell’Ibrido tra Arte e Filosofia” edito da Graphe .it (10 €) viene analizzata la figura del mostro dal Rinascimento fino ai giorni nostri.

La creatura mostruosa è l’essere deforme, l’entità dissimile che spezza l’ordine delle cose, l’ombra scura che minaccia la nostra normalità, è l’essere ibrido dei bestiari, composto da parti umane e zoomorfe, costretto a nascondersi in un mondo altro del quale diventa parte, oppure è l’abitante di cupi scenari futuristici, dove è la tecnologia a dominare la realtà in misura tale da ridurre l’uomo a un ruolo di comparsa.  Al concetto di mostro è sempre stata associata una componente morale, chi è deforme, bestiale, spesso è anche crudele, o ha subito una punizione ultraterrena per qualche colpa impronunciabile.  Se è un mostro è figlio del diavolo, espressione del Male.   Principio alla base della fisiognomica, che ha fondato il proprio paradigma scientifico su un rapporto di necessità tra corpo e anima, su un’illusoria corrispondenza tra una dimensione interiore e una esteriore. “Ogni corpo ha una sua propria forma e figura” scriveva Aristotele, il primo fisionomo sistematico della storia a sostenere che un’anima non entra in qualunque corpo”. Concetti antichi e immutati nei secoli, di trattato in trattato.  La figura del mostro attrae e respinge allo stesso tempo. E’il “delightful horror” del sublime, cio’ che attrae lo sguardo suscitando curiosità e al tempo stesso sgomento, ribrezzo. Mette in discussione l’essenza stessa dell’uomo, scatenando la paura di diventare o essere “diverso”. Per essere uomini, bisogna appartenere alla normalità, ad una condizione comune, essere simili agli altri, non superare il limite. Il mostro genera caos, scardina le regole e i codici, crea disordine, come del resto la vita: “la vita diviene il mostro per eccellenza, proprio perché inconcepibile, indefinibile e imprevedibile”, scrive Nicola Zengiaro nella prefazione.

 Per la sua natura inafferrabile e misteriosa l’iconografia del mostro e i mondi a cui sottende non potevano non fare parte dell’arte e della letteratura di tutti i tempi, del cinema  e della filosofia. Perché riflettere su cio’ che è mostruoso implica inevitabilmente soffermarsi sulla natura dell’uomo.

Il mostro è Gregor Samsa, (La Metamorfosi F. Kafka) che una mattina si sveglia e scopre di aver assunto le fattezze di uno scarafaggio, pur mantenendo una coscienza umana, è il Myster Hide di Stevenson, è la balena per il capitano Achab, (Moby Dick H.Melville)  è  la larva  che nel suo mimetismo diventa parte mostruosa del suo habitat, ma è anche la furia incontrollabile  della natura stessa nella sua vendetta contro l’uomo che con la sua indifferenza  la distrugge,  è l’alieno- il mostro per eccellenza- in quanto diverso, abitante di mondi sconosciuti, lontani.

In “Figure del limite. Estetica dell’Ibrido tra Arte e filosofia” il mostro viene esaminato in due saggi distinti e complementari: Alessandro Gatti analizza la rappresentazione di due ibridi della tradizione mitologica:l’arpia e la  sfinge- a partire da fonti artistiche rinascimentali e barocche, indagandone la sovrapponibilità iconografica.

  Samuele Strati propone una riflessione filosofica su ciò che è la mostruosità, confrontando la prospettiva tradizionale -il mostro come elemento da cui fuggire, per evitare di esserne contaminati, contagiati, aggrediti in una lotta impari-   e le teorie postumaniste diametralmente opposte, in cui l’ibrido, incompleto e indefinito è visto come una possibilità che puo’ contaminare l’uomo, rendendolo diverso, arricchendo la sua stessa essenza. Da questo contatto l’essere umano (Homo sapiens) potrebbe non essere il prodotto finale della nostra evoluzione, ma solo l’inizio.   “L’ ibrido postumano è un corpo contaminato in cui il contagiante, l’inquinante, ha solennemente perso la parvenza distruttiva- la mostruosità dell’assedio, dell’agguato” scrive Samuelae Strati. Non c’è più rifiuto, distanziamento, separazione come in passato ma scambio, conversazione, contaminazione con l’uomo che lo accoglie, lo accetta, vi si relaziona. L’ibrido nella sua drammatica fragilità, nel suo essere incompiuto, indefinito diventa parte dell’evoluzione dell’uomo . E forse oggi, fa un pò meno paura.

Alessandro Gatti è laureato in beni culturali presso l’Università degli Studi di Perugia con una tesi intitolata Dalla casa “vivente” alla casa-museo. Prosegue gli studi nello stesso ateneo, dove sta preparando una tesi sul “non-finito” nella scultura del Rinascimento.

Samuele Strati è laureato in filosofia e scienze e tecniche psicologiche presso l’Università degli Studi di Perugia, dove attualmente prosegue la sua formazione. Dal 2018 è membro del consiglio direttivo della piattaforma di ricerca Gallinae in Fabula.

Print Friendly, PDF & Email

You may also like