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Blue Suede Shoes e la nascita del Rock’n Roll

Chiara Castiglione

La musica come linguaggio artistico e poetico ci accompagna durante il percorso della nostra esistenza. Dall’esegesi fino ai nostri giorni.

Ogni periodo storico, ogni decennio ha un genere, un suono, una forma di espressione scenica che lo caratterizza. Jack Kerouac lo scrittore che più interpreta il concetto della beat generation, ha affrontato il tema del viaggio on the road, nella seconda metà del Novecento, dove artisti come Bruce Springsteen e Bob Dylan, scriveva, erano i protagonisti e le colonne sonore per km e km con la loro poesia e narrativa. Le canzoni possono far cambiare di stato d’animo, possono far nascere degli amori o far ricordare quelli perduti, possono essere quelle che dedichi ai tuoi genitori o anche delle canzoni passeggere, delle hit estive che durano solo una stagione ma fortunatamente abbiamo anche i grandi classici. Brani che colpiscono l’immaginario popolare e conquistano il favore di ogni successiva generazione. “Blue Suede Shoes” di Carl Perkins indubbiamente può essere annoverata tra questi.

 Un brano che può essere definito il primo vero successo del rock’n’roll, ciò da cui è partito se non tutto, almeno molto. 

La canzone raggiunse un successo smisurato quando l’iconico Elvis Presley, grande amico  di Carl Perkins, la incise immediatamente dopo essere stata scritta. 

 

Il ventenne Elvis la presentò in televisione al The Dorsey Brothers Stage Show e al Milton Berle Show, e ne fece la prima canzone in scaletta del suo fondamentale album d’esordio pubblicato nel 1956 con la RCA il 33 giri che ha venduto in un solo mese 360mila copie per un milione di incassi.

Ma come è nata l’idea di scrivere una canzone proprio su delle scarpe di camoscio blu?

Tra mito e realtà si tramanda un racconto inerente l’origine dell’idea o meglio dell’ispirazione del brano, o forse sarebbe meglio dire che esistono tre o quattro versioni diverse della stessa storia come ha affermato il batterista, ultimo sopravvissuto della band,  W.S. Fluke Holland al sessantesimo compleanno di “Blue Suede Shoes” nei leggendari Sun Studios di Memphis

Uno tra questi racconti dice che sul finire del 1955 vari artisti della Louisiana tra cui Perkins, Cash e Presley si trovavano a viaggiare insieme per il tour per gli Stati Uniti meridionali.   

Holland: “Quella volta in particolare stavamo andando con la Plymouth verde del ’53 di John in Arkansas, Carl e John erano sul sedile posteriore. John appoggiò la gamba sullo schienale del sedile anteriore e disse: ‘Carl, do

vremmo scrivere una canzone sulle scarpe.’ Poco dopo aggiunse: ‘Perché non la scriviamo sulle scarpe di camoscio blu?’” Si racconta che questa ispirazione di Cash sia derivata da C.V. White, un aviatore con cui aveva prestato servizio nell’esercito degli Stati Uniti, il quale era molto fiero delle scarpe di camoscio che usava durante la libera uscita. 

Johnny Cash disse a Carl che pensava potesse scrivere una canzone a riguardo. 

Un altro racconto invece afferma che Perkins ricordava l’accaduto in maniera diversa. Come scrive nella sua autobiografia ‘Go, Cat, Go!’, egli ignorò il suggerimento di Cash e concepì la canzone in un secondo momento.

Invece Holland sostiene che dopo quel viaggio in macchina della storia non se ne parlò più, fino a che non tornarono tutti a casa pochi giorni dopo per suonare in un minuscolo pub a Jackson.

Continua così il racconto di Holland: “Non c’era un palco, quindi ci siamo semplicemente sistemati in un angolo con l’amplificatore di Carl appoggiato sul pavimento. Qualcuno ballò molto vicino all’amplificatore e sentimmo questo ragazzo urlare alla sua ragazza, ‘Non calpestare le mie scarpe nuove!’ Quella sera, (era il 17 dicembre 1955) Carl andò a casa e scrisse le parole di “Blue Suede Shoes”. Dopo aver eseguito la canzone con il resto della band, lo studio di registrazione venne prenotato per il 19 dicembre. L’allora 23enne Carl Perkins aveva già registrato due 45 giri per il boss della Sun Sam Phillips: “Movie Magg” e “Let The Jukebox Keep On Playing”. Il primo era un rockabilly country, il secondo una ballata. “Blue Suede Shoes” era totalmente diversa. Poco più di due minuti di ritmo da sballo, con versi stop and go e gli acuti “on fire” della chitarra di Perkins, era un mix di blues, country e pop, un brano che definì una nuova era del rock’n’roll e come scritto sopra Elvis Presley cantandola la rese massimamente celebre un manifesto che ne determina la sua importanza storica.  

Elvis con la sua grinta, forza, sensualità e provocazione resta l’icona che ha reso  la performance sul palco, legenda. L’artista inciso indelebilmente non su carta ma su un 48 giri segna la nascita di un rock’n roll carico di tutta la sua energia rinvigorente e sempre attuale, un divo ricco di contraddizioni, sia angelo che diavolo e proprio per questa sua caratteristica ha ammaliato un’intera generazioni di giovani e non… nonostante la sua presenza scenica e radiofonica sia durata solo dieci anni dal 1958 al 1968, il suo fu un successo smisurato ed eterno. Ma quando Elvis partì come militare, per assecondare il suo innato spirito patriottico, lasciò un senso di vuoto ai suoi fan che lo attesero con trepidazione per questi due anni. Quando tornò, però, il mondo era cambiato ma la sua musica no. Quando ritornò sulla ribalta l’America aveva vissuto gli anni di ribellione giovanile, i famosi anni sessanta hippie che vedevano il modo di ballare, di muoversi, di cantare di Elvis non più così innovativo e trasgressivo come poteva esserlo a metà degli anni 50 per un’America estremamente bigotta.

Lo stesso Elvis, durante un’intervista all’Hilton Press Conference di New York per il concerto al Madison Square Garden, dichiara che “quello che faccio è “insipido” rispetto a quello che fanno ora, sono “solo” un “intrattenitore”. 

Tuttavia Elvis non era comunque considerato “passato”, era e resterà per sempre un genio, il precursore del pop come lo conosciamo oggi, un innovatore ed uno spirito libero e rivoluzionario che scuote gli animi e le “blue suede shoes”.

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