La coalizione dei Volenterosi (o degli Imbecilli sarebbe più corretto) continua a cercare di creare un casus belli, anche di cartapesta, per continuare a drogare l’opinione pubblica e scatenare la Terza Guerra Mondiale.
di Massimo Reina
Altro che invasione di droni russi. In Polonia ormai basta un tetto scoperchiato dal vento o un rottame telecomandato con lo scotch per gridare: “Attacco di Mosca!”. E i giornali embedded a rilanciare, i governi a indignarsi, Bruxelles a tremare.
La sceneggiata dei droni Gerbera dello scorso 9 settembre è l’ennesima prova: da Varsavia giurano che 19 ordigni russi hanno violato lo spazio aereo Nato. Peccato che, col passare delle ore, emergano dettagli degni di una farsa. Drappi di droni civili rimontati in Ucraina, droni posati a mano sulle conigliere come se fossero sulla portaerei Nimitz, missili polacchi lanciati e caduti su case polacche. Ma la colpa, naturalmente, è sempre di Putin.
Il copione è collaudato: agitare il nemico esterno, fingere di difendere l’Europa, in realtà coprirsi di ridicolo. Non è la Russia che ha fatto cilecca: è la Nato che ci prova da anni a costruire il casus belli perfetto e finisce sempre col farsi male da sola. Non bastava Ursula von der Leyen col GPS ballerino smentita pure da Sofia. Non bastava l’incendio al palazzo di Kiev venduto come “attacco russo” senza uno straccio di foto o video. Ci voleva la Polonia, con l’F-16 che spara e il missile che piomba su Wyryki. Lì almeno non si può negare: l’oggetto era americano, l’aereo era polacco, il danno pure. Però la colpa resta, per decreto, dei russi.
E allora giù dichiarazioni bellicose. Tusk che grida “giù le mani dai nostri soldati”, Nawrocki che chiede trasparenza (beata ingenuità), Sikorski che agita i fantasmi del Cremlino. Tutti a recitare, sapendo che l’unica verità scomoda è questa: l’opinione pubblica non ci crede più. Lo dicono i sondaggi: un terzo dei polacchi sospetta che i droni li abbia lanciati l’Ucraina. Il 72% accusa il governo Tusk di servilismo e caos.
Il punto è che la propaganda europea è diventata così raffazzonata da sembrare caricatura. Se fosse un film, sarebbe una commedia di Louis de Funès, non un thriller di spionaggio. E gli spettatori, cioè i cittadini, ridono amaro: capiscono che qui non si tratta di difendere la Polonia o l’Europa, ma di difendere governi in crisi e industrie belliche in attivo.
Adesso tocca all’Estonia. Panico, titoloni, allarme rosso. Due caccia italiani decollano in tutta fretta, giusto il tempo di sventolare la bandierina della Nato e farsi immortalare come i salvatori dell’Occidente. L’ennesima sceneggiata che riempie i notiziari e gonfia i petti ministeriali. Eppure la domanda resta: ma davvero? Dopo aver resistito alle provocazioni inglesi e francesi, agli attentati terroristici in casa propria, all’esplosione del Nord Stream, ai sabotaggi di ogni tipo, i russi si sarebbero improvvisamente svegliati con la voglia di rovinare tutto facendo due capriole nei cieli baltici? Dopo aver evitato accuratamente di cadere nelle trappole tese da Londra e Parigi, Mosca avrebbe deciso di rischiare un incidente nucleare per due sconfinamenti senza alcun valore strategico, militare o economico?
Ma a chi conviene questa storiella? Certo non alla Russia, che a Kiev avrebbe potuto radere al suolo la capitale e chiudere la partita da tempo, e invece ha scelto scientemente la linea della pressione lenta, chirurgica, senza scatenare l’apocalisse. Conviene, piuttosto, ai soliti noti: ai Paesi baltici che campano di paura anti-russa, alla Finlandia fresca di Nato che gioca al kamikaze geopolitico, a una Germania in crisi che cerca un diversivo, e a Macron che si atteggia a De Gaulle ma finisce più spesso a sembrare Louis de Funès.
La verità è che serve sempre un casus belli, anche di cartapesta, per continuare a drogare l’opinione pubblica. Si fabbricano incidenti, si ingigantiscono ombre radar, si riciclano droni civili con lo scotch e si spaccia tutto come “aggressione russa”. E c’è pure chi ci crede, nei talk show del prime time, dove quattro imbecilli ben selezionati fanno la claque a governi e generali.
Il resto del pubblico, però, non ride più. Perché dietro queste farse non c’è solo propaganda: c’è l’ossessione di sabotare ogni tentativo di dialogo — anche gli accordi abbozzati tra Trump e Putin — e di trascinare la Nato, e magari mezzo mondo, in un conflitto che nessuno vuole. Nessuno tranne loro, i professionisti della guerra. Perché, a forza di gridare “al lupo”, il rischio è che prima o poi il lupo arrivi davvero. E non lo fermeranno né Ursula col GPS né Tusk con i tweet.