Molte sono le questioni esistenziali ed etiche che si sono originate in relazione all’introduzione della macchina. Molti filosofi e scrittori si sono domandati quali potessero essere gli effetti della tecnologia sulla vita umana e sulla sua essenza, percependo in essa e nelle sue peculiarità una possibile minaccia per l’umanità.
A riguardo si sono espressi due celebri scrittori della letteratura italiana che furono in contrasto tra loro riguardo al rapporto tra l’uomo e la macchina intesa come intelligenza artificiale: Italo Calvino e Primo Levi.
Calvino ha una visione positiva nei confronti delle macchine, mentre Levi si dimostra diffidente all’introduzione della macchina, identificandola come mera esecutrice degli ordini dell’uomo: essa è creata solamente per servire e non deve pensare.
Al giorno d’oggi alcuni studiosi, ricercatori e membri delle istituzioni guardano all’intelligenza artificiale come a uno strumento in grado non solo di assistere, ma persino di sostituire il giudice.
Nel campo decisionale e giuridico da un lato l’introduzione di una intelligenza artificiale, per esempio in sostituzione a un giudice, eviterebbe l’interpretazione personale e il ricorso ingiustificato all’equità e giudicherebbe come puro interprete della legge. Per cui l’interpretazione ‘’creativa’’ con l’introduzione di un’intelligenza artificiale non esisterebbe e si applicherebbe quella interpretazione esegetica che si è sempre ricercata a partire dall’introduzione del codice civile.
L’intelligenza artificiale incarnerebbe la perfetta idea di giudice cioè una ‘’macchina del Legislatore’’ scevra da componenti soggettive e irrazionali tipiche dell’uomo. Ma è giusto applicare senza la minima interpretazione? E una macchina artificiale sarebbe in grado di considerare tutti i fattori componenti una causa?
Perciò se da un lato la macchina eviterebbe la presenza di un giudice non equo dall’altro apre la strada ad interrogativi di tipo escatologico ed etico : è giusto porre il potere decisionale a un’entità artificiale e quindi porla, in un certo senso, al di sopra dell’uomo?
l’idea di una decisione robotica è rifiutata dalla società in considerazione del pericolo che la macchina sostituisca l’uomo e che l’individuo perda la sua centralità nell’universo.
Anche se l’intelligenza artificiale non sostituisse ma si affiancasse al potere decisionale ciò che si teme è che l’uso di software di analisi di precedenti giurisprudenziali, da parte dei giudici, possa minarne la capacità discrezionale e soprattutto l’indipendenza.
L’assunto “La legge è uguale per tutti“ sulla quale si basa il nostro ordinamento e l’intera giurisprudenza, sembrerebbe in un certo qual senso giustificare una sentenza dettata da un automa, proprio perché in tal modo verrebbe garantita l’imparzialità. Eppure l’equità non assicura la necessaria correttezza di un giudizio. Esistono eccezioni, variabili, che richiedono una lettura che a mio avviso va oltre la fredda applicazione di norme e codici. Ne deriva che ancora una volta, sarà l’uomo a dover valutare, le componenti, le variabili, le circostanze, dando un’interpretazione antropologica ai fatti. Ritengo quindi che l’intelligenza artificiale possa essere utilizzata come strumento nel lavoro di analisi in quanto algoritmi e big data possono aiutare a selezionare casi analoghi e precedenti contenuti in un provvedimento giurisdizionale. Tuttavia, l’ultima parola spetterà necessariamente al giudice, il quale saprà a differenza della macchina, applicare le norme interpretando i fatti anche alla luce di una sensibilità che per quanto possa essere sofisticata, l’intelligenza artificiale non potrà mai emulare.