Home Esteri Tra promesse e contraddizioni: gli Stati Uniti, Zelensky e il futuro della difesa Ucraina

Tra promesse e contraddizioni: gli Stati Uniti, Zelensky e il futuro della difesa Ucraina

Carlo Di Stanislao

Il prezzo della grandezza è la responsabilità.”
— Winston Churchill

Il 4 luglio 2025 si è aperto con un’importante dichiarazione del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ha annunciato, dopo una telefonata con il presidente statunitense Donald Trump, un impegno degli Stati Uniti a rafforzare la difesa aerea ucraina contro gli attacchi russi. Una notizia di grande rilievo, soprattutto considerando il pesante attacco missilistico e drone subito nella notte precedente da Kiev, con oltre 500 droni e una dozzina di missili lanciati da Mosca. L’evento ha causato purtroppo una vittima civile e 23 feriti, ma ha anche messo in evidenza l’efficacia delle contromisure occidentali che hanno limitato i danni.

Questa dichiarazione di Zelensky ha un peso politico rilevante, ma al contempo appare come un elemento di dissonanza rispetto alle azioni e dichiarazioni precedenti degli Stati Uniti, in particolare del presidente Trump. Infatti, solo il giorno prima, Trump aveva dichiarato un fermo stop al nuovo invio di aiuti militari all’Ucraina all’interno del Piano di Bilancio USA 2025, giustificato con la necessità di preservare le risorse e spingere verso un avvio serio dei negoziati di pace con la Russia. Questa mossa aveva provocato reazioni contrastanti, non solo tra i leader occidentali e all’interno del Congresso USA, ma anche fra gli stessi ufficiali ucraini, molti dei quali avevano espresso preoccupazione per l’eventuale indebolimento della capacità difensiva di Kiev.

La telefonata tra Trump e Zelensky del 4 luglio sembra così mettere in luce una tensione tra un’esigenza politica di mostrarsi solidali con l’Ucraina e la realtà pratica di una sospensione temporanea di aiuti strategici, in particolare di sistemi avanzati come i missili Patriot. Il confronto diretto con Trump, infatti, si presenta come un tentativo di mantenere aperto un canale di dialogo e rassicurare Kiev, mentre nei fatti la Casa Bianca conferma la necessità di un bilancio più prudente e di un cambio di strategia nella gestione del conflitto.

Parallelamente, non va sottovalutato il fatto che Trump, proprio il 3 luglio, aveva avuto una lunga conversazione con Vladimir Putin, dalla quale non sono emerse aperture concrete a un cessate il fuoco o a un accordo duraturo. Ciò ha alimentato le preoccupazioni sulla possibilità che la posizione americana possa oscillare tra il voler contenere la guerra e quella di trattare con Mosca, senza però una linea chiara e coerente.

Questa ambiguità è destinata a pesare sul futuro immediato della guerra in Ucraina, specialmente in un momento in cui la difesa aerea è un elemento cruciale per proteggere le infrastrutture civili e militari dagli attacchi missilistici e di droni russi. Zelensky ha sottolineato più volte come la capacità di risposta americana sia fondamentale per la sopravvivenza e la resistenza ucraina, e quindi ogni indecisione o riduzione di supporto rischia di compromettere gli sforzi sul campo.

In definitiva, l’episodio del 4 luglio illustra una contraddizione profonda nella strategia statunitense: da un lato l’impegno a sostenere Kiev contro l’aggressione russa, dall’altro la volontà di limitare gli aiuti per motivi di bilancio e pressione politica interna, con l’obiettivo forse di spingere verso una risoluzione negoziata del conflitto. Una situazione che rende ancora più instabile lo scenario geopolitico europeo e che mette alla prova la credibilità e la coerenza della politica estera americana.

Rimane dunque da vedere se queste contraddizioni saranno superate attraverso nuovi accordi e azioni concrete o se alimenteranno ulteriori incertezze e fragilità nel fragile equilibrio della guerra in Ucraina.

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