di Domenico Maceri*
“Amo Donald Trump quanto un eterosessuale può amare un altro uomo”. Così scriveva Elon Musk su X (ex Twitter) lo scorso febbraio. Oggi, però, dopo la rottura tra i due, il 47esimo presidente ha lasciato intendere che potrebbe perfino espellere dagli Stati Uniti l’uomo più ricco del mondo, che ha speso quasi 300 milioni di dollari per aiutarlo a vincere le elezioni. In realtà, il sostegno a Trump è costato ben di più: l’impegno politico di Musk ha causato un crollo del valore della Tesla e ha avuto ripercussioni anche su altre sue aziende.
Dallo scontro avvenuto il mese scorso, Trump e Musk si sono scambiati insulti a raffica. Il patron di Tesla, SpaceX e Starlink ha duramente criticato la manovra di bilancio definendola “un’abominazione disgustosa” che avrebbe danneggiato l’occupazione, aumentato il deficit e il debito pubblico, e colpito l’innovazione – in particolare a causa dell’abolizione dei crediti d’imposta per le auto elettriche. Musk ha inoltre affermato che senza il suo aiuto l’attuale presidente non avrebbe vinto le elezioni, insinuando che Trump meriterebbe l’impeachment. Dal canto suo, Trump ha replicato con toni altrettanto duri, minacciando di annullare i contratti governativi con le aziende di Musk e accusandolo di essere “impazzito” e “un disastro”.
In seguito è sembrata emergere una tregua, anche perché Musk ha riconosciuto di aver esagerato, offrendo delle scuse poco convincenti. Tuttavia, l’annuncio del suo nuovo partito – l’America Party – in questi giorni ha riacceso le tensioni. L’intento dichiarato del nuovo soggetto politico è combattere la corruzione dilagante e superare il sistema bipartitico degli Stati Uniti. Musk ha promesso di impiegare le sue enormi risorse economiche per influenzare le elezioni di midterm del 2026 e quelle presidenziali del 2028. Ha anche annunciato che si vendicherà dei parlamentari repubblicani responsabili dell’approvazione della recente manovra di bilancio firmata da Trump. Tuttavia, il piano dell’America Party appare ancora vago, benché Musk abbia rivelato l’intenzione di concentrarsi su due o tre seggi al Senato e una decina alla Camera. L’obiettivo sembra essere quello di acquisire abbastanza potere da ostacolare Trump, approfittando della fragile maggioranza repubblicana in entrambe le Camere.
L’attuale presidente degli Stati Uniti ha commentato affermando che i partiti minori non fanno parte del sistema americano. Un’affermazione non priva di fondamento, anche se secondo i sondaggi il 58% degli americani sarebbe favorevole alla presenza di un terzo partito. Storicamente, a livello presidenziale, i partiti minori hanno avuto scarsa fortuna, sebbene nel 1992 il libertario Ross Perot ottenne il 19% dei consensi. Vale la pena ricordare, tuttavia, che nelle elezioni del 2024 l’allora candidato Trump riuscì ad allearsi con Robert J. Kennedy Jr., che correva per la presidenza con un partito minore. I due raggiunsero infine un accordo e Kennedy offrì il proprio endorsement a Trump, che lo “ricompensò” nominandolo ministro della Sanità.
Anche Musk ricevette una ricompensa da Trump: per tre mesi gli fu affidata la guida del DOGE, il Dipartimento per l’Efficienza Governativa, con piena libertà d’azione per tagliare la spesa pubblica. Tuttavia, i risultati ottenuti furono deludenti, nonostante i numerosi danni provocati da tagli indiscriminati.
L’imprenditore sudafricano è considerato da alcuni analisti un genio, e il suo successo economico sembrerebbe confermarlo. Ma per quanto riguarda le sue capacità politiche, il discorso cambia. Persino il nome scelto – America Party – potrebbe rivelarsi problematico, dal momento che nello Stato di New York l’uso del nome “America” e dei suoi derivati è vietato alle elezioni. Da segnalare anche il crescente malcontento tra gli investitori di Tesla per il rinnovato impegno politico di Musk. Il consiglio di amministrazione ha espresso preoccupazione, come dimostra il calo del 7% del titolo Tesla in Borsa dopo l’annuncio del nuovo partito.
I soldi sono parte integrante della politica americana, ma non garantiscono necessariamente il successo elettorale. Lo dimostra l’elezione di un giudice alla Corte Suprema del Wisconsin lo scorso maggio: Musk spese oltre 20 milioni di dollari per sostenere il candidato repubblicano Brad Schimel, che però fu sconfitto dalla democratica Susan Crawford. Considerando il patrimonio di Musk, che si aggira intorno ai 230 miliardi di dollari, non è stata una grande perdita economica. Tuttavia, l’episodio è emblematico del capitalismo sfrenato che consente ad alcuni individui di concedersi ogni capriccio – dai matrimoni veneziani di Jeff Bezos, ai viaggi nello spazio, fino alle ambizioni politiche. Forse ha ragione “il comunista” Zohran Mamdani, vincitore delle primarie democratiche per la carica di sindaco di New York, che in un’intervista alla NBC ha dichiarato: “I miliardari non dovrebbero esistere”, perché viviamo in un’epoca di “profonda disuguaglianza”.
*Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.