Durante l’udienza del 27 maggio le associazioni di categoria aderenti all’Unione Ambulatori e Poliambulatori (UAP) hanno illustrato davanti ai giudici amministrativi del TAR del Lazio le gravi conseguenze derivanti dall’applicazione del nuovo Nomenclatore Tariffario. A rischio la tutela della salute dei cittadini come previsto dall’art. 32 della Costituzione.
Durante l’udienza del 27 maggio, gli avvocati delle associazioni di categoria aderenti all’Unione Ambulatori e Poliambulatori (UAP), che rappresentano oltre 27.000 strutture sanitarie pubbliche e private accreditate, hanno illustrato davanti ai giudici amministrativi del TAR del Lazio le gravi conseguenze derivanti dall’applicazione del nuovo Nomenclatore Tariffario.
Il provvedimento, che ha aggiornato tariffe ferme da 26 anni, prevede significativi tagli ai rimborsi per le prestazioni sanitarie, colpendo in particolare le regioni in piano di rientro e aggravando una situazione già critica. Secondo le associazioni, tali tagli costringerebbero molte strutture ad operare in perdita, compromettendo la qualità delle cure, la sicurezza dei pazienti e l’equilibrio economico dell’intero sistema. Al centro del ricorso, il principio costituzionale sancito dall’articolo 32: la tutela della salute come diritto fondamentale del cittadino.
“Fornire prestazioni sanitarie sotto costo — denunciano i rappresentanti dell’UAP — significa offrire una medicina approssimativa, in contrasto con i principi deontologici e il giuramento di Ippocrate. Non è possibile garantire professionalità, diagnosi accurate e materiali di qualità se i rimborsi non coprono nemmeno i costi minimi.”
La UAP, che da mesi chiede un confronto serio con il Governo e ha rivolto un appello anche al Presidente della Repubblica, lamenta il silenzio delle istituzioni. “Non si possono sostenere progetti inadeguati che generano caos: si pagano infermieri a gettone oltre 150 euro all’ora, mentre uno specialista riceve 5 euro per una diagnosi. È un sistema squilibrato, dove la sanità pubblica viene penalizzata e si favoriscono logiche distorte.”
Nel mirino anche le recenti dichiarazioni del presidente di Federfarma, Marco Cossolo, secondo cui le farmacie possono rilasciare “attestati di esito” per esami effettuati con apparecchi certificati CE. Per UAP, si tratta di una pericolosa semplificazione: “Non sono comparabili alle responsabilità assunte da un medico che firma un referto dopo aver valutato l’esito con apparecchiature dedicate. Eppure alle farmacie vengono riconosciuti rimborsi più alti rispetto alle strutture accreditate.”
Il caso dell’Emilia-Romagna è emblematico: qui le farmacie che effettuano ECG ricevono una tariffa raddoppiata, a cui si sommano € 2 di commissioni e €4 per la prenotazione del servizi, pur operando senza medico né infermiere — figure richieste invece negli ambulatori. “Un farmacista, dopo un breve corso, non può sostituirsi a un team sanitario qualificato. Chi si accorge, ad esempio, se un paziente cronico è in una fase critica? Chi si rende conto della patologia o l’urgenza di intervento?”
La critica si allarga al quadro normativo: mentre le strutture accreditate devono rispettare oltre 420 requisiti professionali, tecnologici e strutturali per ottenere l’autorizzazione regionale, le farmacie sembrano poterne fare a meno. “Saltare le regole consente risparmi del 30%, ma a pagare è la salute pubblica.”
Il paradosso, conclude l’UAP, è che se si applicasse lo stesso criterio di ‘flessibilità’, si potrebbe ipotizzare che anche gli ambulatori possano vendere farmaci, pur non essendo autorizzati. “Abbiamo perso il senso della sanità come servizio pubblico: oggi tutto ruota intorno al guadagno, a scapito dei cittadini”.